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Sudafrica e stati annessi - V

Diario di viaggio in Sudafrica, Lesotho e Swaziland (eSwatini)
07 Settembre 2019

 

...segue 

 

21° giorno

Ci svegliamo poco prima dell’alba ma siamo tra gli ultimi, ripieghiamo le tende sul tetto del pick-up e partiamo appena aprono i cancelli per avvistare gli animali nelle prime ore di luce quando dovrebbe essere più facile incontrarli. Prendiamo la H1-2 asfaltata ma non per questo vuota da animali, anzi, rinoceronti ed elefanti paiono felici di mettersi in mostra su queste vie e interrompere il flusso di auto. Un gruppo numerosissimo di elefanti fa impressione, una guida a fianco ci dice di indietreggiare perché secondo lui non sono così tranquilli, ma tutto va per il meglio, prima della deviazione per l’Orpen Dam abbiamo un incontro ravvicinato con una coppia di leoni, ovviamente in totale relax. In questi casi è facile capire come ci siano animali non banali da vedere perché un buon numero di auto si trova concentrato nello stesso posto. Il posto di avvistamento dell’Orpen Dam è sopraelevato rispetto alla pozza d’acqua, non vicino ma con grande visuale, si vedono molte specie distinte di animali, nell’acqua ci sono coccodrilli ippopotami, tutte le altre specie bevono con grande circospezione, compresi gli enormi elefanti, figuriamoci i tanti, tantissimi waterbuck. Qui in linea teorica, molto teorica, si potrebbe fare picnic, ma visto che la coppia di leoni in linea d’aria dista 300 metri preferiamo evitarlo, ripassiamo dai leoni ma proseguiamo per l’area di Tshokwane, anche questa vicina, ma con visuale più libera e presidiata da due rangers, anche se uno di questi passa il tempo a noleggiare griglie da inserire sui fornelli a gas, i sudafricani grigliano sempre, anche a colazione, cospargendo tutto di montagne di margarina e in uscita salse a profusione. Se quest’odore di carne non richiama leoni o leopardi è un dispiacere, sarebbero state foto ultra ravvicinate. Il compito dei rangers notiamo è quello di scacciare le scimmie per nulla impaurite dalla presenza umana, anzi attratte perché sanno bene che significa cibo facile nei paraggi, cibo che provano a sgraffignare con notevole abilità. Da qui continuiamo per la H1-3, poi deviazione sulla S125 e al bivio S36 direzione nord, dove ci imbattiamo in un leone maschio proprio a ridosso della strada. Mostra i denti, fa impressione, però mantiene fede al suo essere e non si alza per fatiche inutili, la temperatura oltrepassa i 45° e per cercare refrigerio, vista la compagnia animalesca dei paraggi, facciamo sosta all’area picnic di Muzandzeni, dove possiamo scendere con una certa tranquillità a prenderci un po’ di cibi ma soprattutto liquidi refrigeranti dal preziosissimo frigo. Raggiunta la H7 puntiamo al campsite Orpen dove siamo prenotati, in realtà il campeggio vero e proprio è in luogo satellite a poca distanza nel mezzo del nulla, ma la registrazione va comunque fatta al camp principale. Il campeggio si chiama Maroela, basico ma affascinante perché nel mezzo del bush, con animali che da dietro le reti spiano i presenti, ci sentiamo in gabbia, una bella gabbia comunque. Il caldo la fa da padrone, sappiamo che non è orario per avvistamenti ma un giro lo facciamo comunque, un anello tra la S140-145-106, giusto per vedere una iena da vicino, giraffe, avvoltoi a dividersi una carcassa dall’odore nauseante, alcuni ippopotami lungo le poche pozze del Timbavati e antilopi di ogni tipo. Nascosta al di sotto della strada c’è pure una iena che si fa un bidè nel fiume, avvistamento possibile perché segnalato da altri viandanti, uscendo dalle vie più battute l’usanza di segnalare presenze di animali incrociandosi è molto utile, al di là di segnalarle sugli appositi pannelli nei campeggi e nelle aree di sosta. Alla sera al campo la temperatura fatica ad abbassarsi, non c’è vento, bene per cucinare ma andiamo a dormire con ogni possibile spiraglio delle tende aperto, non facciamo tardi perché siamo reduci da una sveglia prima dell’alba ed un’altra ci toccherà. Percorsi 247 km, su strade asfaltate e non, tutte nel parco e tutte in buono stato.  

 

Attraversamento di elefanti al Kruger National Park

 

22° giorno

Sveglia e partenza lungo la H7, colori intensi ma animali pochi, solo nei pressi della carcassa intravvista il giorno prima scorgo uno strano volatile che mi ricorda qualcosa. Al campeggio vi era un cartello che diceva di segnalare l’eventuale presenza di quest’animale denominato Southern Ground Hornbill (il più grande bucorvo al mondo), ed è proprio quello che pasteggia coi resti di una preda di un qualche felino, rimarrà l’unico animale insolito visto questa prima mattina. Lasciamo l’asfalto per prendere la S40 nei dintorni di Nsemani, dove la pozza d’acqua è secca e di animali non c’è traccia, che percorriamo fino all’area picnic di Timbavari, posta al limitare del promontorio sul Timbavati River, splendido e riparato luogo per sosta, noi con colazione da yogurt, biscotti e caffè, i locali al solito di graticola, carne e verdure belle grigliate per non sbagliare. Da qui rientriamo sulla via principale asfaltata H1-4 dove riprendiamo gli avvistamenti d’ippopotami, elefanti, giraffe, nyala, babbuini, coccodrilli, bufali, waterbuck, e antilopi di ogni taglia. Il ponte sull’Olifants River è una sorta di grande punto di avvistamento che mischia vedute della natura ad animali, sosta obbligata da parte di chiunque transiti da qui, poco oltre si accede al N’wamanzi Lookout che non è nulla di particolare al momento ma che ci permette di ricevere una preziosa info da parte di gente proveniente da nord, poco oltre vi staziona una coppia di leoni a bordo strada. Partiamo e sono ancora al posto indicato, incredibilmente vicini, sembrano mansueti gattoni che giocano tra di loro, una femmina sempre sul chi vive e un maschio molto più rilassato che quando sbadiglia ci fornisce un primo piano dettagliato dei denti aguzzi e robusti. Ora riprendiamo la via per l’Olifants Campsite dove facciamo le registrazioni e ci godiamo la splendida vista sul fiume e il parco intero, il campeggio vero e proprio è più lontano, dall’altra parte del fiume che attraversiamo su di un rudimentale ponte in un’area piena di animali, uccelli giganteschi, nyala e waterbuck. Il Balule è ancora più sperduto del campeggio precedente, con ingresso ben protetto, poi capiremo perché, ci prendiamo una piazzola (non sono assegnate) sotto a un possente albero e vicino alla rete esterna dove rifocillarci all’ombra vista la temperatura da 45° standard. Ma caldo a parte non abbiamo tempo per fermarci, c’è la possibilità di completare un giro non solo di avvistamento animali, facendo il calcolo dei km possiamo arrivare fin sull’altro versante del fiume Letaba lungo le Lebombo Mountains che segnano il confine col Mozambico. Lungo la S44 si arriva all’Olifants Lookout alla confluenza tra i fiumi Olifants e Letaba nel mezzo di un vasto canyon con i fiumi terreno di caccia di coccodrilli ed ippopotami. Qui si può scendere in tranquillità, anche se un sole che spacca le pietre non permette lunghi passaggi, riprendiamo la via costeggiano il Letaba river, c’è il grande baobab di Von Weilligh e percorso sterrato che sale e scende lungo il fiume. Passata Letaba, tornati sull’asfalto, la H1-6 corre a fianco del fiume, diversi gli attraversamenti di animali, occorre prestare attenzione agli elefanti, giù nel fiume dove le pozze sono più profonde c’è sempre qualcosa da osservare, poi prendiamo a destra la S62 fino al Mutambeni Bird Hide, lato nord del fiume raggiungibile su percorso sterrato. Ai soliti animali da fiume si aggiungono le tartarughe, ad ogni animale il suo spazio, i coccodrilli se ne stanno per lo più sulla riva con la bocca spalancata ad asciugare, visione non tranquillizzante. Il tempo scarseggia, dobbiamo forzatamente rientrare per entrare prima delle 18:30, il cancello chiude e il luogo è isolato, ma sulla strada gli avvistamenti continuano, alcuni elefanti sventolano le loro gigantesche orecchie a pochi metri dal nostro mezzo e in seguito un branco di temibili licaoni compare dal nulla. Anche questi andrebbero segnalati alla direzione del parco, ringhiano contro di noi, già non sono graziosi di loro, con un comportamento del genere mettono inquietudine, forse l’animale che meglio ci riesce in tutto il parco. Visti anche questi, a un passo non proprio da codice ritorniamo al Balule, l’ultimo tratto lungo la S92 lo percorriamo in stile rally, rimanere fuori dal campeggio non è buona cosa, come noteremo una volta entrati e sistemati nel nostro angolo, le iene battono con costanza il perimetro del campeggio alla ricerca di qualcosa da mangiare, il loro muoversi e il loro grido accompagnerà la notte africana. Ci prepariamo comodamente la cena, non c’è un alito di vento, fa caldo anche a sera inoltrata, quando ci abituiamo alle luci soffuse (nel campeggio non c’è energia elettrica, nei bagni ci sono lampade a olio, così nello spazio della splendida cucina comune) scrutiamo il regolare passaggio di iene, nella speranza che non trovino un buco nel reticolato…Percorsi 256 km, tutti nel parco, tutti in buono stato sia su sterrato che asfalto.

 

Un raro Southern Ground Hornbill, Kruger National Park

 

23° giorno

Ancora una sveglia all’alba, l’ultimo giorno al Kruger la merita, rifacciamo il percorso in direzione Letaba lungo la H1-5 del giorno precedente, ma qui andiamo ad ovest sulla H9, senza grossi avvistamenti se non una iena con quattro piccoli. La iena non è certo un’animale che si possa definire bello, ma vederla così vicina in atteggiamenti materni è comunque qualcosa di particolare, rimane però uno dei pochi avvistamenti della prima mattina. Prendiamo la deviazione per l’anello di Masorini con colline composte unicamente da giganteschi massi per arrivare al Sable Hide dove predisponiamo la colazione in uno splendido hide che prenotandolo può fungere da rifugio notturno, si trovano circa 10 letti solo da abbassare, all’interno del recinto c’è tutto, compreso bagno con fossa e portandosi l’acqua necessaria spazio per doccia. L’attiguo lago richiama più specie di volatili, ma anche antilopi, zebre ed elefanti, che si possono vedere da più vicino prendendo una via in pessimo stato lungo la S51, non segnalata ma intuendo ad occhio dove porterà. Il nostro tempo nel Kruger però è in scadenza, ci appropinquiamo al Phalaborwa Gate, dove chiuse le registrazioni e lasciato il foglio di via che viene ritirato all’ultimo campsite usciamo definitivamente dal parco. A dire il vero molte riserve private si trovano anche fuori dal recinto ufficiale, come altre riserve si trovano all’interno, tutte queste riserve sono l’ideale per chi con tanti soldi vuole passare un periodo da sogno nel lusso e nella natura, ma non garantiscono viste aggiuntive di animali, anzi, quelle sono più probabili nella parte pubblica. Il Kruger sudafricano si estende ancora a lungo a nord, ma un po’ per i tempi un po’ perché viene descritto come meno interessante, non perlustriamo quella parte. Una domanda che ho ricevuto più volte in seguito è il confronto tra il Kruger e l’Etosha in Namibia, quale meglio visitare? Per me vanno visitati entrambi, entrambi sono splendidi e pieni di animali, per le mie predilezioni di zone desertiche con forti contrasti l’Etosha è di un’altra categoria, forse anche perché più piccolo, con più parti desertiche che non sono utilizzate dagli animali i quali hanno a disposizione meno spazio utile e di conseguenza occupano una superficie minore, e poi quell’immenso pan bianco abbagliante c’è solo là, ma ripeto, il Kruger resta un parco magnifico. A Pholaborwa ripristiniamo i viveri al primo market (non mancano mai) in vista della prossima tappa, il Blyde River Canyon National Reserve, non proprio nei paraggi. Tagliamo lungo la R40, poi R526, R530 ed infine R36 con passaggi in montagna all’Abel Erasmus Pass, splendide le viste dal lato nord, per entrare in zona canyon lungo la R532 con prima sosta allo spettacolare Three Rondavels View Point. Alcuni sentieri conducono direttamente sul canyon, nella parte nord proprio sopra al bacino artificiale Blyderiverspoortdam, vista mozzafiato con le tre vette cilindriche attorniate dal canyon verde e lago azzurro. Anche qui l’intensità dei colori è notevole, sarà l’altitudine, siamo circa a 1.800 m, la mancanza di nuvole e d’inquinamento, ma l’effetto non è da poco. Nella piazzola che funge da parcheggio c’è un unico albero che regala ombra, al sole si cuoce, e lo utilizziamo come riparo per un pranzo fugace e tardivo con gli altri turisti che ci guardano curiosi. Qui, e anche nei posti a seguire del canyon ,è pieno di banchetti di souvenir, non tanta fantasia ma possibilità di strappare prezzi interessanti. La strada continua lambendo il bordo del canyon per poi farsi più interna e portare a un’altra sosta assolutamente dovuta in prossimità delle Bourke’s Luck Potholes. Una dell’immagini più conosciute del Sudafrica, quella delle cavità colorate perfettamente lavorate dall’acqua come giganteschi mulinelli, si rimane attoniti nel vedere il lavoro dell’acqua qui nel mezzo delle montagne. Per rendere visitabile con un minimo di sicurezza l’area sono state costruite passerelle e ponti sul canyon, buona idea ma un po’ di fascino se ne va, rimane comunque una visita obbligatoria per chi approccia questa stato. La zona è piena di cascate, montagne e distese verdi senza fine, non possiamo visitarle tutte ma una sosta alla Lisbon Falls la facciamo, come decidiamo di percorrere l’anello lungo la R534 che passa alla Wonder View e da God’s Window, finestra sul verde alla quale si arriva dopo una scalinata attraversando una lussureggiante foresta pluviale, naturale in questo briciolo di altipiano. Tra le particolarità del luogo spicca pure il Pinnacle una sorta di gigantesco masso a forma di grattacielo che svetta nella foresta, vista che affrontiamo al tramonto, una parte con luce ottimale, la base ahimè già al buio. Una nota: se si percorre quest’anello come nel nostro caso da nord a sud le indicazioni sono solo in afrikaans, mentre da sud a nord in inglese. Cerchiamo una sistemazione nella vecchia cittadina di Pilgrims Rest, dove il tempo si è fermato agli anni ’30, c’è l’enorme campeggio Pilgrims Rest Caravan Park ma senza presenza umana, è aperto e proviamo a trovare qualcuno. Quando stiamo per desistere da una costruzione emerge una coppia che in realtà sarebbero i custodi, dicono che possiamo restare e che vedranno di farci regolarizzare la nostra posizione l’indomani. Il campeggio è enorme, la parte all’esterno ben tenuta, i servizi sono un disastro, fortuna che c’è acqua calda perché qui in mezzo alle montagne fa freddo, ma l’acqua cade ovunque e non drena, i bagni sono da soluzione estrema e la natura è preferibile, fa un po’ specie essere in questo grande luogo completamente soli, ma va bene così, ci rinfreschiamo dopo giornate di caldo intenso, prepariamo la cena e poi è subito tempo di riposo. Percorsi 318 km, tutti su strade in buono stato.  

 

Una famiglia di iene, Kruger National Park

   

24° giorno

Di mattina il freddo non è così pungente come la sera, subito dopo colazione si presenta un’addetta con tanto di ricevuta del pagamento del campeggio, la quale ci dice che non vi sono turisti causa clima troppo secco al momento, probabilmente invece perché la visita a Pilgrims Rest viene gestita con escursioni in giornata da luoghi che hanno investito maggiormente su questo tipo di turismo e in servizi. Se il richiamo storico della città fu la corsa all’oro, proviamo a rinverdire questa tradizione e seguiamo la via sterrata per la miniera della TGME, che raggiungiamo dopo un percorso non propriamente agevole. Come prevedibile non è visitabile in quanto operativa, dicono che forse, magari, casomai egistrandoci chissà dove in paese, beh, potrebbe anche darsi che uno di questi giorni un giro sia fattibile… Vabbè, consideriamola un’escursione, l’addetto ci consiglia di proseguire lungo questa via per rientrare in paese, percorriamo in lungo e largo la montagna, quando sfiduciati troviamo una deviazione che ci riporta verso Pilgrims Rest dopo svariati chilometri in malo stato. Arriviamo prima che i pullman scarichino fiumi di turisti, l’unico inconveniente che i “buttadentro” siano tutti per noi. Le abitazioni di una volta, con tanta lamiera ondulata, le pompe di benzina old stile, l’ufficio postale che attende ancora la corrispondenza in arrivo con la diligenza, un ritmo di vita lento divenuto un marchio di fabbrica e un’entratura economica importante non tolgono però un’idea di piccolo parco giochi, nonostante il paese sia reale e vi vivano oltre 500 persone, ormai tutte dedicate a lasciare quello che c’è come fu. All’uscita dal paese tappa da Diggins, ricostruzione di un campo per cercatori d’oro. Ci spostiamo in zona Sabie, immersa nel verde e attorniata da cascate, poiché sono comode da raggiungere dedichiamo buona parte della mattina a queste escursioni passandone in rassegna diverse, iniziando dalla Mac Mac, forse la più suggestiva, il cui nome, senza una grande fantasia, deriva dalla presenza in area di popolazione scozzese. Procediamo successivamente alla Bridal Veil che si raggiunge dopo 10’ di sentiero in salita, al momento con poca acqua ma con la possibilità di fare il giro attorno alla cascata, scegliendo il tempo giusto non ci si bagna nemmeno troppo. Non lontano da qui si trova l’Horseshoe, la meno interessante, per terminare tappa alla Lone Creek, facile da raggiungere e luogo ideale anche per nuotare. Classico posto da foto sotto alla cascata, tantissima gente perché ideale meta per picnic, sia nei dintorni della cascata sia lungo la strada nell’ombrosa area picnic, dove anche noi ci concediamo una pausa prima della lunga tirata verso Johannesburg. Da Sabie si scende verso l’autostrada lungo la R539, all’imbocco della N4 si può proseguire lungo la R539 che la segue parallela ma non a pagamento unendosi solo dopo il Crossroad Pass, percorso tra le colline in un altipiano che non scende mai sotto ai 1.700 m fino alla metà. L’autostrada N4 ha parti a pagamento da qui a Johannesburg passando successivamente sulla N12 paghiamo 125r in più volte, il percorso è monotono, l’unico elemento che cambia la fisionomia è dato dalla presenza di gigantesche centrali per produzione di energia elettrica alimentate a carbone, fossile che qui è ovunque, come si evince dalla presenza di gigantesche miniere. Vorremmo pernottare in un campsite non lontano dall’aeroporto dove l’indomani lasceremo un amico di rientro, soluzione non facile da trovare, ce ne sarebbe uno in splendida e protettissima area dell’Arrowe Park Scout (nell’area si entra solo dopo controllo) ma nonostante gli addetti alla sicurezza ci facciano più volte cercare questo presunto campeggio non ne troviamo traccia. L’area, dietro rete metallica con filo elettrico, alte mura, ingressi sorvegliati con sbarre apribili con consenso della guardia e in simultanea di chi passa schiacciando l’apposito pulsante, denota un livello di vita piuttosto elevato, con club sul lago, vialetti intonsi, insomma qualcosa di molto straniante dalla realtà esterna. E non lontano da qui troviamo un posto che ne rappresenta l’opposto, il Brentwood Caravan Park è un luogo per disperati alla penultima tappa della discesa agli inferi, ma nei pressi della grande città altre alternative non ce ne sono e così dopo aver elemosinato uno spazio tra le infinite roulette dismesse, le casupole cadenti e abitate permanente e non certo in vacanza, la proprietaria ci trova un posto solo per la provenienza europea, lei è di origine portoghese e sentendoci italiani ci accetta per una sera nel suo luogo di dispiaceri. Ci sarebbe pure una grande piscina, ma non vede acqua da chissà quanto, la gestrice nemmeno ricorda dove siano i servizi igienici, non penso metta piede qui in mezzo da quando bambina girava con la bicicletta, ma per una sera può andare. In effetti raggiungere i servizi igienici (non il top ma nemmeno così male come si poteva immaginare) servirebbe una mappa con indicato dove aggirare casotti in costante espansione, canalette di scolo che causa siccità sono fortunatamente vuote, e vegetazione che non vede una potatura da decenni. Ma nessun disturbo da parte dei pochi presenti, più bianchi che neri, a dimostrazione che la crisi può colpire chiunque e lasciare poche speranze di uscirne. Percorsi 425 km, a parte gli iniziali tra le montagne e la miniera, tutti in ottimo stato.

 

Le Lisbon Falls, poco lontane dal Kruger National Park

 

25° giorno

Passata una notte al caldo, non piove, il cielo è coperto ma sull’altipiano si cuoce, facciamo la solita colazione senza fretta per raggiungere l’aeroporto OR Tambo, il principale del paese dove al terminal dei voli nazionali lasciamo un amico con destinazione Cape Town prima della coincidenza per l’Italia. C’è spazio per la sosta kiss&ride, ma nemmeno il tempo per accompagnarlo al check-in che già un parcheggiatore esige una mezza multa per evitare di elevarci la multa completa che per evitare che cresca in maniera importante andrebbe pagata in un ufficio preposto del comune di Benoni. Accettiamo controvoglia la sua proposta sapendo bene di acuire un sistema errato, ma abbiamo tanta strada davanti e non possiamo perdere ore per chiudere la pratica. Da qui prendendo innumerevoli svolte su vie minori affidandoci in toto al navigatore, tanto non ci sarebbe nel mezzo nulla d’interessante, dopo una sosta ad uno Shoprite (nota, nei market non vorrebbero che si entrasse con gli zainetti, ma se si dice alla vigilanza che si ha all’interno materiale prezioso, fotocamere, obiettivi, ecc…non ne vogliono sapere di quella responsabilità e vi lasciano gli zaini) raggiungiamo la N3 che percorriamo per un tratto a pagamento fino a Villiers per uscire e immetterci nella R26, una strada normale in ottime condizioni che corre dritta in direzione sud fino a Fouriesburg, ultima città vera e propria prima di prendere la via per il Lesotho. Il posto di confine si trova a Calendospoort, le pratiche di uscita sudafricane sono velocissime, quelle in entrata in Lesotho un po’ meno solo perché tutto viene registrato a mano, si pagano 30r per passare con l’auto, non occorrono documenti particolari per entrare con un mezzo registrato in Sudafrica a Namibia. Due doganieri del Lesotho dovrebbero ispezionare l’auto, ma in realtà vogliono solo far della chiacchiera con degli stranieri non sudafricani visto che sono pochi quelli che entrano, soprattutto da questo passaggio, ci danno qualche consiglio su alcune zona (quelle da dove vengono) e ci segnalano da subito l’emergenza siccità. La linea di confine segna immediatamente una grande differenza tra i luoghi, non come quello con lo Swaziland, entriamo subito in un territorio che pare scavato tra le montagne rocciose, a prima vista molto più povero, l’arrivo al primo paese di Butha Buthe ce lo conferma, qui si fa la fila per l’acqua ai pozzi comuni, tutto si svolge lungo la strada ma la gente è cordialissima, vedendoci passare è sempre una festa. Questa zona è conosciuta perché vi si trovano impronte fossili di dinosauri, il problema è identificare quelle aree perché non ci sono indicazioni, col navigatore ci si fa poco e occorre interpretare il poco riportato sulla Lonely Planet, che visto a ritroso è perfetto. Il primo luogo lo troviamo prima di Leribe (Hlotse, la doppia denominazione, non sempre riportata nello stesso modo è un altro problema per il navigatore), presso un villaggio un abitante sa di cosa parliamo nominando il Subeng River e i dinosauri, ma non parla inglese. Ferma però due signore che parlano inglese, gli spiega la situazione, finiamo per caricarle visto che vanno nella nostra direzione, ci fanno sapere quello che il primo personaggio aveva da indicarci, le scarichiamo a una deviazione passato il letto arido del fiume e ci dicono di proseguire per quel sentiero, in pessime condizioni. Dopo circa 500 metri c’è l’insegna di una scuola e una bambina arriva di corsa anticipando alcuni suoi compagni. Facciamo una donazione alla scuola (in linea con quanto donato da precedenti avventori, solo una coppia francese da inizio anno), lasciamo il pick-up proprio nel mezzo di un temporale intenso che dura poco e scendiamo nel letto del fiume dove ci vengono mostrare alcune di queste tracce. Lasciamo molto all’immaginazione, la bambina non è che sappia molto, parla di un particolare dinosauro di cui nulla sappiamo e con qualche dubbio (che sarà fugato in seguito in un museo che visiteremo) lasciamo questa zona che però è spettacolare, così decidiamo di esplorarla ancora un po’ fino a qualche abitazione nei dintorni di un campo da basket più unico che raro. Su terra battuta, un palo storto regge un anello storto e aperto, niente tabellone, per segnare occorre solo eunicamente talento, la vera essenza del basket alla faccia del basket attuale stile NBA dove l’atletismo è sempre più prioritario a discapito del saper giocare. Grande Lesotho, una lezione di basket che farebbe piacere a Sergio Tavcar, giornalista principe nel denunciare questo modo malato di intendere la palla nel cesto, o nell’anello. Da qui rientriamo sulla via principale A1, passiamo Leribe e al villaggio di Tsikoane chiediamo lumi per raggiungere un altro posto di avvistamento impronte di dinosauro. Occorre arrivare alla locale missione cattolica, quella più o meno indicata, all’arrivo uno stuolo di ragazzini ci accerchia per portarci sulla montagna alla ricerca delle impronte, gestire la situazione non sarebbe facile, fortunatamente una ragazza del posto si trova qui per le vacanze (studia all’università a Johannesburg) e gestisce la situazione. Trattiamo con lei la cifra per l’escursione (40r, che dividerà in parti uguali tra i bambini che ci accompagnano) e saliamo, il percorso non è agevole ma molto bello, quando arriviamo alla grotta posta quasi in vetta la vista è spettacolare, canyon e formazioni rocciose ovunque, ma anche le impronte fossilizzate sono numerose e ben visibili. Si trovano nella parte alta esterna della grotta, datate milioni di anni fa, i sommovimenti tellurici le portarono in alto ma protette, per questo ancora oggi sono così ben conservate e visibili, poi la leggenda della grotta in cui vivevano i dinosauri lascia il tempo che trova ma l’importante è che i ragazzini siano contenti di questo. Scesi, anche questo non così agevole, riprendiamo il cammino dopo innumerevoli saluti, lungo l’A1 andiamo verso ovest nella speranza di incontrare un campeggio, ma anche dopo aver chiesto a più persone non c’è traccia né speranza. Prima di entrare a Teyateyaneng scorgiamo un piccolo cartello di B&B presso una bella casa in muratura. Tentiamo la sorte, un addetto ci accoglie, c’è posto e, dopo aver sentito la proprietaria, ci conferma che la colazione sarebbe meglio non averla, ma possiamo usare la cucina, situazione ideale per noi così predisponiamo anche la cena in autonomia. Fuori si alza un vento forte, la polvere è ovunque e girando vorticosamente in ogni dove regala un tramonto esaltante, il giallo-rosso viene portato ovunque, noi rimaniamo ad ammirare questo spettacolo, gli abitanti invece sono ben più preoccupati perché non piove mai e le risorse idriche si stanno esaurendo. Ci dicono che possiamo usare l’acqua sempre, ma non dobbiamo sprecarla, hanno un bizzarro modo di lavare le pentole, capiamo in un secondo tempo il suo utilizzo dettato dal fatto di non buttare nemmeno una goccia. Nonostante spray antizanzare spruzzati a lungo, queste sono padrone della notte. Percorsi 438 km, quasi tutti su strade in ottimo stato.

 

continua...

 

Sudafrica e stati annessi - I

Sudafrica e stati annessi - II

Sudafrica e stati annessi - III

Sudafrica e stati annessi - IV

 

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