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Sfortunatamente, neanche i “paradisi in terra” dei pacifisti sono scevri dalle lotte per il potere. Quando nel 1886 Lukerya passò a miglior vita, non avendo avuti figli, si scatenò la lotta per la successione a leader della comunità. La donna aveva individuato il suo successore in Peter Verigin e la maggior parte dei Duchobory lo aveva accettato come erede spirituale ma una combattiva minoranza si schierò a favore di Michayl Gubanov, fratello di Lukerya, forte dell’appoggio degli anziani e delle autorità locali. Il 26 gennaio 1887, alla messa al termine della quale doveva essere proclamato il nuovo leader, si presentò la polizia russa che arrestò Verigin e lo mandò in esilio nel nord della Siberia, assieme ad alcuni suoi sostenitori, dove rimase per 16 anni. La comunità non abbandonò Verigin al suo destino, continuando a considerarlo il capo spirituale e tenendo i contatti via posta e con saltuarie visite al suo campo di reclusione, vero precursore dei gulag che in età staliniana sarebbe diventati tristemente famosi.
Una tipica casa Duchobory, con l'erba sul tetto - Copyright Pianeta Gaia
La stretta del governo zarista, desideroso di riportare sotto il suo controllo i Duchobory che si rifiutavano di registrare nascite e matrimoni, contribuire col proprio raccolte ai fondi statali e, in generale, di giurare fedeltà allo zar, non tardò a farsi sentire. La minoranza legata a Gobunov cooperava ma la maggioranza, che non aveva mai perdonato la deportazione di Verigin e che, anzi, trovava nuova linfa e ardore dalle accorate lettere che il loro leader riusciva a far pervenire, era sempre più risoluta nella negazione dell’autorità imperiale. Seguendo le istruzioni giunte via posta, i Duchobory accentuarono i loro comportamenti invisi alle autorità: smisero di fumare e bere alcolici, divisero le proprietà equamente tra i membri della comunità, aderirono al pacifismo distruggendo le armi in loro possesso e rifiutandosi di prestare il servizio militare. Lo zar Nicola II non poteva accettare queste insubordinazioni e i suoi uomini, saputo che la notte del 28 giugno 1895 si sarebbero ritrovati per dare alle fiamme – tra salmi e canti religiosi - a diverse armi, mandarono i Cosacchi che li assalirono e li arrestarono. Molti Cosacchi vennero insediati nei villaggi della maggioranza favorevole a Verigin, e circa 4000 Duchobory furono costretti con la violenza a spostarsi in altri villaggi in Georgia, cosa che costò diverse vittime.
I Duchobory lavorano la terra, come facevano i propri avi - Copyright Pianeta Gaia
La resistenza dei Duchobory guadagnò attenzione internazionale e l’Impero Russo venne fortemente criticato per il trattamento loro riservato. Nel 1897 il governo dello zar permise ai Duchobory di lasciare il paese a patto di farlo a loro spese, di non tornare mai più e di finire di scontare le pene inflitte ai leader condannati. Alcuni emigrarono a Cipro ma l’isola era troppo piccola per ospitare un’emigrazione massiccia. Si fece avanti il Canada che, desideroso di popolare le sue vaste pianure, offrì terra, trasporto e aiuto a ricollocarsi nel pressoché disabitato Saskatchewan. Circa 6000 Duchobory, a cui in seguito si aggiunsero circa 1500 di quelli inizialmente emigrati a Cipro aderirono alla proposta nordamericana. Nel tempo se ne aggiunsero altri, compresi alcuni reduci dall’esilio siberiano, tra cui lo stesso Verigin. Nel giro di qualche decennio circa 9.000 Duchobory si erano trasferiti in Canada – quasi un terzo della popolazione -, grazie anche all’aiuto dei fondi forniti dai Quaccheri e dal Movimento Tolstojano. Nonostante il governo locale fosse, nel tempo, venuto incontro ai Duchobory esentandoli dal servizio militare e permettendo loro di vivere in comunità senza registrare i loro possedimenti, la loro naturale vocazione al non rispetto delle regole imposte dai governi provocò diversi problemi: rifiuto di registrare nascite e matrimoni, proteste nudiste, incendi di scuole e tutto quanto rappresentasse una modernità imposta. Si sospettano anche attentati, come quello in cui perse la vita Verigin.
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