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21° giorno
Già di prima mattina, mentre prepariamo la colazione, il rombo degli aerei che sorvolano le Cascate Vittoria è una costante, la visita alle cascate per i più abbienti avviene appunto da questo punto di vista. Prima di uscire ne approfittiamo per lavare l’auto, nei dintorni dei bagni ci sono più gomme inserite in idranti a disposizione, così non costituiremo un’offesa alla nazione. Da qui il visitor center si raggiunge velocemente, poco più di un chilometro, c’è di fronte un parcheggio gratuito dove oltre alla solita paccottiglia da souvenir vanno a ruba le mantelle parapioggia. Riprendo dallo zaino il mio k-way tecnico pensando che sia la soluzione ideale, pagato il salato biglietto d’ingresso si parte alla visione di una delle 7 meraviglie del mondo. Il rombo della caduta dell’acqua è percepibile pure da qui, prima ancora di attraversare il tratto di foresta che ci separa, primo stop alla statua di Livingstone, primo non indigeno a giungere fin qui risalendo il corso del fiume e trovandosi una barriera naturale non oltrepassabile. Qui al Devil’s Cataract comprendiamo da subito che non c’è protezione dall’acqua che serva, data anche la temperatura elevata e l’umidità se si procede completamente chiusi nelle protezioni più estreme (ma col fronte incredibile di acqua che arriva ho paura che nulla resista) si finisce per sudare all’ennesima potenza, così meglio fregarsene, prendere tutta l’acqua possibile, sandali, pantaloni corti e t-shirt, tanto usciti dal fronte della cascata ci si asciuga in un attimo. C’è ovviamente molta gente, mai vista nei precedenti giorni in giro per lo Zimbabwe, tutti arrivano vedono e ripartono in aereo (aeroporto situato circa 20 km a sud della città), seguiamo così il percorso che entra ed esce dalla foresta portandoci più volte di fronte alla cascata che in questo periodo di acqua non al massimo ma comunque crescente significa più cascate. Onestamente mi aspettavo uno spettacolo più emozionante od esaltante, sarà che il canyon della parte ovest non permette di rendersi conto della profondità della caduta (non si superano i 108 metri) ma l’unico vero punto spettacolare è il Danger Point e devo ammettere che gli addetti al parco lasciano goderselo al massimo. Nessuna protezione, si sale e scende sulle rocce che affiorano regalando la vista che spazia di fronte verso le Rainbow Falls, sulla parte est che sarebbe quella dello Zambia ed anche sul gorge che si crea in uscita dove è possibile risalire via rafting, difficile farlo con uno scenario più emozionante. Sono completamente lavato in ogni dove, per girarsi questa punta in effetti potenzialmente pericolosa meglio avere suole aderenti (ho sandali di basso livello ma con suole in vibram e non ho avuto problemi), si può rimanere quanto si vuole, qui la cascata dell’acqua non è nemmeno così intensa come in altri punti tipo di fronte alla Main Falls o alla Horseshoe Falls, ma in ogni caso l’acqua è talmente tanta che la mia fida fotocamera termina il suo lavoro affogata, ritornando in uso solo 3 giorni dopo e con evidenti macchie su display e sensore. Se le prime viste mi avevano deluso, forse causa di aspettative eccessive, da Danger Point esco con un’impressione ben differente, si continua fino alla vista sul Victoria Falls Brigde, il passaggio di confine che sorvola la gola. Per accederci e arrivare nella parte dello Zambia occorre farsi rilasciare il Bridge Pass, gratuito al posto di frontiera evitando così la necessità di un visto con doppia entrata (si risparmiamo 5$, non penso che abbia così senso azzardare un visto ad entrata singola), e percorrere la via intasata dai camion che trasportano di tutto tra le due nazioni. Ci sono molti venditori di souvenir o passaggi auto, ma non disturbano più di tanto, sul ponte proprio a metà il gabbiotto dove fare bungee jumping, esclusiva location direi. Proseguiamo al termine del ponte già in Zambia dove la vista della gola e delle Armchoir Falls in concomitanza finalmente di un minimo di sole e cielo blu regala ulteriore spettacolo. Col sole arrivano anche un caldo e un’umidità incredibile, ogni passo una sofferenza, ma poco male. Dopo aver girato anche questa parte rientriamo sui nostri passi, recuperiamo la Ford Ranger per salire a monte del fiume Zambesi, allo Zambesi National Park, parco che costeggia il fiume quasi fino al confine col Botswana, al momento però visitabile solo nella prima parte e solo lungo i sentieri a bordo fiume, impraticabile quelli interni. Si accede ai tanti siti definiti picnic, non raggiungibili nemmeno i camping e i resort interni, optiamo per fermarci al n° 15, vista splendida sul grande fiume che a pochi chilometri si butterà nelle cascate. Non c’è nessuna protezione che possa tenere alla larga gli animali, fortuna (o sfortuna, dipende dall’obiettivo finale) che di felini non ci sia traccia, ma rimaniamo sempre vigili mentre ci prepariamo un veloce spuntino, le scimmie son sempre minacciose, e il passaggio di un elefante o giraffa mai piacevole data la loro mole. Appena termina la zona dei picnic magicamente il parco si anima di animali, giraffe, kudu, impala, waterbuck, pare tutto esaurito solo che il sentiero diventa un black cotton da cui usciamo a fatica dopo pochi metri. Rientriamo così al camp, ci scegliamo una nuova piazzola e dopo un tifone che si è abbattuto sull’area avendo trasformato il camp in acquitrino provo un salto alla reception per recuperare info sul passaggio di frontiera e sulle possibili visite del periodo in Botswana. Il wi-fi, come il giorno precedente è lentissimo, recuperate le info e confermato che il gasolio costi quasi la metà che qui rientro alla piazzola, dopo doccia e cena ci viene pure regalato uno spettacolino indigeno che sarebbe a servizio di un gruppo inglese dedito all’alcol già di pomeriggio. Queste rappresentazioni mettono però tristezza, gente che si maschera per l’occorrenza, potrebbero farlo qui come a domicilio degli alcolizzati, poco cambia, contenti loro. Durante questi tempi arriva una gigantesca comitiva di ragazzi sudafricani, una specie di boyscout band, si tratta di un gruppo di giovani afrikaans in gita, queste escursioni sono organizzate proprio per rinsaldare la fede nella loro supremazia e spingerli a essere un forte gruppo unico itinerante. C’è il capetto ed il capo, manca solo che arrivi il gran mogol vestito come nei fumetti di Topolino, solo che qui si parla di ragazzi già sui 20 anni che credono ciecamente a questa versione dell’africanizzazione, piccoli Eugene Terre'Blanche crescono, purtroppo. Percorsi 51 km, nel parco su pessima via, fuori su asfalto ben tenuto.
Le grandiose Cascate Vittoria
22° giorno
Un’umidità elevatissima ci fa compagnia per colazione, poi dopo un ultimo giro per Victoria Falls prendiamo la M10 verso il passaggio di frontiera di Kazungula. Ci si arriva tagliando lo Zambesi N.P. dove non è necessario pagare l’ingresso, in realtà non si vede nulla di particolare, vietato prendere strade che entrino nel parco. Al varco di frontiera non c’è nessuno, le pratiche in uscita sono veloci, stessa cosa per quelle in ingresso in Botswana dove nemmeno serve il visto, giusto il pagamento del permesso stradale. Un minimo più dettagliato il controllo della vettura e passaggio con disinfestazione scarpe, un addetto insiste nel volere una mancia per farci passare alcuni prodotti di carne che in quest’area sarebbero proibiti, ce la caviamo con una bottiglia di birra e subito siamo sulla via per Kasane, il centro di riferimento dell’area nord-orientale. La cittadina è il punto di partenza per le escursioni al celebre Chobe Riverfont e National Park, luogo certamente turistico e di ben altro genere rispetto a quanto visto negli ultimi 15 giorni. Cambiare soldi non è un problema, anzi abitanti del luogo ci indicano più che una delle tante banche (con relativi ATM) un ufficio cambio più conveniente. Unico inconveniente, le stazioni di rifornimento in città sono tutte sprovviste di gasolio, oggi solo benzina. Così torniamo all’incrocio della A33 con la strada proveniente dal confine zona Kuzungula, circa 12 km prima, sistemata questa questione siamo pronti per visitare il Chobe Riverfront, ingresso di Sedudo lungo la A33 appena passata Kasane. I costi del camping interno sono di alta fascia come quelli dei meravigliosi resort (non ho dati esatti ma indicativamente 500$ a testa al giorno compresi i game drive però…) e allora optiamo per la visita giornaliera che intraprendiamo immediatamente. Si utilizza la river road lungo il fiume Chobe, indicazioni scarse ma proseguendo a occhio cerchiamo sempre di rimanere il più vicino al fiume senza entrare in passaggi delicati, unica cosa chiara fin da subito, qui gli animali sono migliaia! Già, nella prima parte gruppi d’impala da oltre 100 animali a gruppo, che corrono e saltano come solo sui documentari si è visto, elefanti che corrono al fiume travolgendo di tutto e di più, insomma un autentico paradiso dove l’impresa è cercare di evitare gli animali non trovarli. Siamo già esterrefatti così ma non è ancora nulla, dopo una tappa di relax nei dintorni del Serondela Picnic Spot con scimmie dispettose inizia una parte dove sembra di essere ad un rave party di giraffe. Saranno almeno 100 a ritrovarsi qui, dobbiamo attendere a lungo quando i gruppi attraversano il cammino, poi oltre questo punto la strada inizia a peggiorare e già nei pressi del Ihaha Rest Camp si fa più dura. Noi abbiamo intenzione di uscire al gate di Ngoma e quindi ci facciamo una parte di sentiero che prevede varie deviazioni non sempre semplici, nel frattempo kudu e waterbuck ce li troviamo in pratica in auto, giusto le sable antilope scappano, invece si lascia comodamente fotografare una gigantesca aquila pescatrice africana. Le indicazioni latitano così non ci accorgiamo che l’ultima parte sarebbe chiusa, le condizioni sono pessime e per giunta quando arriviamo all’incrocio sul Ngoma Brigde il cancello è chiuso e anche forzandolo non si arriverebbe alla via. Dobbiamo rifare questo tratto di parco e salire all’uscita da una via interna messa malissimo. Quando giungiamo al gate l’addetto alla reception ci accoglie sbalordito, la via è chiusa, si scusa dicendo che evidentemente non hanno segnalato in modo corretto la percorrenza. Chiediamo info al posto di blocco, ultimo prima del confine vero e proprio con la Namibia, e ci informano che un camping c’è proprio sulla nuova strada asfaltata per Kavimba, circa 14 km dopo l’incrocio. Arrivati all’insegna del Muchenje Safari Lodge pensiamo di aver trovato l’approdo serale, invece il camping sorge più avanti, ma esiste. In realtà si tratta di uno splendido campeggio (in perfetta sintonia con l’addetta alla reception…) immerso nella foresta e sul fiume Chobe, ogni piazzola dispone dell’elettricità, di un lavabo e poco più distante di un servizio abluzioni dedicato, mai vista una cosa del genere. Insomma dopo giorni non sempre facili par di essere arrivati in paradiso, anche se in più punti ci hanno già detto che in questo periodo altre escursioni nel Chobe non siano fattibili. Cena in relax senza nemmeno zanzare dopo aver percorso 193 km, la parte in asfalto in ottimo stato, nel riverfront sterrato ben tenuto tranne quell’ultima parte che in realtà sarebbe chiusa al passaggio.
Gruppo di giraffe al Chobe Riverfront National Park
23° giorno
Colazione e ultimi aggiornamenti via wi-fi per verificare se effettivamente le vie interne del Chobe siano impraticabili, come mestamente ci viene confermato. Rientriamo verso Kazungula per la A33 che taglia il parco, percorribile senza necessità di pagare l’ingresso, lì continuiamo sulla stessa via in direzione sud, meta Nata, per fare meno strada nei dintorni di Kasane si può tagliare all’indicazione dell’aeroporto, strada non asfaltata ma in buone condizioni. Nonostante sia l’unica grande arteria nord-sud non è che ci sia particolare traffico, è ben tenuta ma ogni tanto, soprattutto nei dintorni dei villaggi che s’incontrano, ci sono squadre di polizia con tele laser, meglio rispettare i limiti, tipo in zona Pandamatenga, da dove proviene la via di un secondo passaggio di frontiera verso lo Zimbabwe. Il cartello stradale di fare attenzione all’attraversamento degli elefanti è da prendere alla lettera, capita più volte di incrociarli. A metà strada l’ennesimo controllo veterinario tutto sommato una pura formalità, una volta giunti a Nata sapendo che il delta dell’omonimo fiume non sia visitabile per la troppa acqua (in Botswana i delta dei fiumi terminano non al mare che qui non c’è ma sottoterra) ci dirigiamo al Nata Bird Sanctuary dove non c’è presenza umana sia per il parco sia per il campeggio. Una coppia statunitense che sta girando l’Africa in autostop testa ugualmente il campeggio, noi invece proseguiamo in auto per il sanctuary, sperando che sia visitabile. Seguiamo il navigatore che ha pure queste vaghe vie interne e in alcuni casi tracce che paiono fresche, non è facile orizzontarsi e nemmeno andare sicuri, alcune pozze sono diventate piccoli laghi, tagliarli incute timore, ma a volte aggirarli è peggio. In un modo o l’altro riusciamo ad arrivare fino alla piattaforma che fa da view point sull’infinto Sua Pan all’interno del Makgadikgadi, dove facciamo tappa forzata pure per un veloce spuntino. Il sole va e viene, quando arriva oltre a scaldare illumina con colori fortissimi tutta l’area, dal rosa dell’acqua al blu del cielo al verde dell’erba al bianco accecante del sale. Sì, proprio bello essere qui nel mezzo, non sarà semplice trovare la via del rientro ma l’idea di natura estrema c’è tutta, con soprattutto volatili mai visti prima, dai colori sgargianti tra cui la gru coronata. Mentre proviamo a trovare la via del rientro ci imbattiamo nella coppia statunitense che a piedi (vabbè i pazzi, ma così no!!!) prova a raggiungere la piattaforma informandosi se c’è un tetto di protezione. Una volta arrivati alla reception incontriamo un’addetta e paghiamo il dovuto per scendere fino ad un punto che s’immette nel mezzo del pan a Sowa. Per arrivare nuovo punto di controllo veterinario e tanta strada asfaltata che affrontiamo sotto un tifone, e lì ci tornano alla mente i due a piedi di prima. Vediamo pure i danni causati ad una macchina dall’aver sbattuto contro mucche in attraversamento, auto distrutta e due mucche agonizzanti, ma al termine della via nel pieno del pan c’è poco da vedere, l’area appartiene alla Botswana Ash che produce soda, è già molto se ci lasciano circolare senza spararci. Rientrando verso Nata cerchiamo un camping nei dintorni della città, cosa non facile, uno non ha energia elettrica, due hanno chiuso, uno pare introvabile e così ritornando verso il Nata Bird Sanctuary tentiamo al Nata Lodge che ospita anche una parte per campeggiatori. Avete mai affrontato un campeggio dove per girare occorre avere un mezzo 4x4? Qui serve, altrimenti non ci si muove, il posto è iperlusso con piscina centrale, bungalow tutti attorno e bel posto pure per il campeggio dove per raggiungere la reception anche a piedi si fa un piccolo trekking. Ma la soluzione si rivela buona, nessuna presenza di zanzare, zona abluzioni splendida, giusto sperduto l’angolo dei lavabo. C’è molta gente qui presente, luogo di passaggio per le grandi attraversate africane, come dimostrano i giganteschi camion con all’interno pure le cuccette per più persone, cena tranquilla nell’attesa di avere un ritorno da casa sull’esito del derby bolognese in programma proprio oggi. Un sms può essere l’unica speranza, il segnale è debole, chissà mai che una ventata non porti con se buone nuove. E così è, Virtus vincente a migliaia di chilometri di distanza, dormire ora è dolcissimo dopo 577 km, a parte quelli all’interno del Nata Bird Sanctuary tutti su asfalto in ottimo stato, dovendo però prestare attenzione agli animali che s’impadroniscono della strada.
Gru coronate al Nata Bird Sanctuary
24° giorno
Veloce colazione, sfrutto il wi-fi per spulciare qualche info del derby, ma la connessione è talmente lenta che desisto dopo molto tempo e poche notizie, in città spesa da Choppies e via verso Gweta lungo la A3. Dopo Zoroga la strada taglia l’estremità nord del Nwetwe Pan, bello scenario e a prima vista nessun problema d’impraticabilità. Una volta in paese, appena fuori dalla statale e come tutti di bianco-azzurro dipinto un po’ ovunque per festeggiare i 50 anni d’indipendenza caduti proprio nel 2016, apprendiamo alla locale stazione di polizia che l’attraversamento dei pan verso sud è impossibile. Avremmo cercato di raggiungere Kubu Island (ci passai anni fa nell’inverno australe e mi pareva di essere in un deserto di sale dove l’acqua era un miraggio stile Atacama) ma è impossibile, sia quell’attraversamento sia quello sulla carta più breve che entra nei pan proprio da Gweta verso Gabatsadi Island. A questo punto optiamo per altri pan visitabili, le info ci vengono fornite al Gweta Lodge, dove ritorneremo in serata per passare la notte. Prendiamo la via del Nxai Pan National Park che si raggiunge percorrendo la A3 per circa 65 km in direzione ovest, nel nulla sorge il gate d’ingresso dove ci è fornita una mappa pressoché inutile e le info essenziali. Ci sono camping all’interno, come al solito costano come l’oro e il più interessante come localizzazione è di difficile accesso. Partiamo con primo obiettivo i Baines’ Baobab all’interno del Kudiakan pan. Si percorre la via per Nxai Pan, dopo circa 15 km di strada sabbiosissima (accesso consentito solo a mezzi 4x4) si svolta verso destra (prendere il secondo sentiero dei due che s’incontrano quasi nello stesso posto) e si prosegue in mezzo ad arbusti che lasciano scoperte solo le due tracce a terra. Qui c’è meno sabbia ma si procede comunque molto lentamente, lontano s’inizia a scorgere il bosco dei baobab celebri perché resi immortali dal pittore e avventuriero Thomas Baines, inizialmente al seguito della spedizione di David Livingston, poi cacciato e riparato in questi lidi. Dipinse più versione di questi alberi, all’epoca evidentemente sconosciuti in Europa, riacquistando quella buona nomea che perse al seguito di Livingston, cacciato perché ritenuto un ladro, leggenda narra che non fosse vero ma di gelosie interne si trattasse. A parte il mito il luogo è incantevole, gli enormi alberi si aprono sul pan quasi si fosse su di una zattera, ne approfittiamo per una sosta ristoratrice, le pozze d’acqua nel pan prendono mille colori ma si affonda anche solo appoggiando delicatamente un piede. Ovvio che raggiungere il campsite situato sull’isola di fronte (ok, l’acqua non c’è ma come chiamare il promontorio erboso di fronte nel mezzo del pan?) sia impossibile, giungono qua anche altri avventori tedeschi e si pongono la medesima domanda, avendo pure pagato per passarci la notte. Sui baobab si può camminare, alcuni hanno preso forme orizzontali, percorrendoli ci s’imbatte in viste particolari del luogo. Rientriamo da questo posto per arrivare a Nxai, la strada continua ad essere sabbiosa, qualche giraffa da schivare sulla via e alla fine dei circa 30 km che separano il gate dall’ingresso vero e proprio si sale al pan in corrispondenza del South Camp, che a occhio pare disabitato. Certo che per chi vuole passare la notte nel parco non è facile capire dove stazionare. Iniziamo quindi la visita, veramente affascinante, il grande pan è pieno di animali che vanno di pozza in pozza, tranquilli e i più al momento coi piccoli. Siamo in pochi avventori, quindi il disturbo arrecato è limitato e gli animali paiono comprenderlo, seguire le vie riportate nella mappa non è semplice perché mancano sovente le indicazioni, la cosa più facile al di là dei navigatori che per forza di cose non possono avere tutti i sentieri tracciati visto che cambiano a seconda delle precipitazioni, è farsi un’idea in base ai punti cardinali e seguire i sentieri tenendo a mente dove sia geograficamente l’uscita. Perdersi quindi in questo grande e multiforme pan è uno spettacolo, sono centinaia gli animali che ci avvicinano curiosi quanto noi, nessun predatore vero, ma poco male. Prendiamo la strada d’uscita per fare in modo di essere al gate entro le 18 quando le porte si chiudono, arriviamo al Gweta Lodge dopo le 19, lungo la statale c’è un brulicare di elefanti che induce a limitare la velocità, che già deve essere limitata ai 60 kmh per tutto il tratto di A3 che taglia i parchi. Nel lodge ci sono pochi avventori, sia i proprietari sia gli addetti sono estremamente gentili, poiché nei bagni del campeggio non c’è acqua calda ci predispongono il bagno di un bungalow per noi, un addetto passa più volte a verificare che tutto sia a posto, insomma ospiti trattati con tutti i riguardi del caso, pure bibita offerta a bordo piscina per scusarsi del wi-fi non funzionante. Unico inconveniente la presenza delle zanzare, non così incombenti come a Victoria Falls ma scomode, e il caldo del posto. Percorsi 374 km, fuori dal parco su strada asfaltata in ottime condizioni, nel parco sterrati male in arnese.
continua...
Zimbabwe, Sudafrica e Botswana - I
Zimbabwe, Sudafrica e Botswana - II
Zimbabwe, Sudafrica e Botswana - III
Zimbabwe, Sudafrica e Botswana - IV
Zimbabwe, Sudafrica e Botswana - V