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6° giorno
Quando la despertadora ci richiama ai nostri compiti, verifichiamo come la tenda abbia retto perfettamente alla pioggia, tentiamo di prepararci una rapida colazione usando proprio lo spazio coperto che lasciano le 2 tende come riparo, la buona notizia arriva dal cielo, lungo la M2 per Mossel Bay il clima torna ottimo e possiamo visitarci la cittadina che dista 9 km dalla via principale in tutta tranquillità. L’attrattiva principe del posto è il Diaz Museum Complex, insieme di più luoghi e strutture interamente dedicate all’esploratore portoghese e alla sua impresa di primo uomo a circumnavigare il Capo di Buona Speranza. Si visitano musei, sorgenti d’acqua (di primaria importanza stivarla per i lunghi periodi in mare aperto), granaio, per arrivare infine alla copia perfetta della caravella utilizzata nel XV secolo. Questa caravella è stata ricostruita per festeggiare l’anniversario dei 500 anni del viaggio, dal Portogallo è arrivata fino a Mossel Bay via mare ovviamente solo a vela, impiegando 3 mesi, la metà di quanto impiegò Diaz. Girare per Mossel Bay in questi giorni è un po’ come voler percorrere in auto Rimini il 14 agosto, per raggiungere The Point impieghiamo troppo tempo per i nostri gusti così affrettiamo la visita (per chi vuole si può fare il bagno evitando l’oceano ma sfruttando una piscina naturale protetta da enormi rocce) e facciamo scorta di biltong diversi da Alec’s Bitong. Il biltong è lo snack nazionale, si tratta di carne essiccata, nei market vendono solo quello di manzo, mentre nei negozi specializzati c’è l’imbarazzo della scelta: spingbok, kudu, eland, zebra, struzzo, giraffa, insomma un po’ tutti gli animali che in queste lande sono la quotidianità. Ripartiamo ma dopo breve lasciamo nuovamente la N2 per inoltrarci sulle limitrofe montagne, i passi della zona riscuotono grande richiamo. Saliamo all’Oteniqua Pass lungo un’autostrada avvolta tra le nuvole, non si vede nulla, mentre appena iniziamo a scendere il sole torna padrone e all’improvviso pare di essere tra le valli del Trentino, anche se qualche gabbiano gironzola in direzione oceano. Per ritornare sulla costa affrontiamo il Montagu Pass, aperto solo a mezzi 4x4, tutto un altro scenario ma ovviamente ancora nel mezzo delle nuvole. Giunti a George con destinazione Knysna, cerchiamo la via panoramica che attraversa il Garden Route NP, affrontando in sequenza Hoogerkrall, Karatara, Homtini e Phantom Pass, niente d’indimenticabile ma alternativa fuori dal traffico lungo parti in sterrato a parti in asfalto, non sempre ben conservato. Arriviamo verso sera a Knysna, città turistica oltre maniera e capitale delle ostriche del Sud Africa, trovando a fatica un posto nel campsite che si trova nei paraggi di The Heads, il luogo più fascinoso della grande baia, raggiungibile a piedi per un tramonto con i fiocchi. Il camp è affollatissimo, tanti motociclisti presenti con al seguito van d’appoggio (facile così!), riparato dal vento proprio dal promontorio, così prepararci la cena non è un problema. Percorsi 369 km su strade di tutti i tipi, in generale sempre buone tranne qualche tratto asfaltato in zona George-Knysna.
Uno dei ponti sospesi dello Tsitsikamma National Park
7° giorno
Durante la notte piove, la tenda però continua a resistere impassibile e fortunatamente di mattina il sole ricompare, così dopo colazione facciamo tappa in cima a The Heads. Ci sono alcuni sentieri con punti panoramici splendidi, sia verso la laguna interna di Knysna sia sul drammatico imbocco dall’oceano alla laguna, definito a suo tempo dagli inglesi l’accesso al porto più pericoloso al mondo. Lungo la N2 continuiamo ad andare verso est lasciandola per entrare nello Tsitsikamma NP lungo la R102, appena oltrepassato il confine tra Eastern e Western Region. Conosciuto per i suoi fiumi che tagliano canyon prossimi al mare (non a caso la traduzione dal khoesan di Tsitsikamma significa “molte acque”), la prima tappa è a Nature’s Valley, villaggio immerso in un verde da cartolina con laguna interna dove pescare e nuotare, visto che appena si oltrepassano le dune e si arriva al mare, l’oceano respinge anche i più intrepidi, se non dotati di tavola da surf. La strada sale verso il Bloukrans Pass regalando ottime immagini nel suo insieme, ma il cuore del parco è altrove, presso Storms River Mouth. Si parcheggia a oltre un kilometro dall’inizio dei sentieri perché i turisti sono tantissimi, la particolarità dei sentieri che risalgono l’estuario del fiume è data dai grandi ponti sospesi che occorre affrontare con circospezione poiché non “ballare” è praticamente impossibile. Lo scenario al di là dell’esperienza sui ponti è splendido, il fortissimo vento tiene lontane le nuvole e il sole picchiando fortissimo acuisce i colori. Usciti dal parco affrontiamo il primo rifornimento, comprendendo che per riempire entrambi i serbatoi occorrono almeno 15’ se non 20’. Così facciamo sosta per rifocillarsi, nelle aree di sosta delle autostrade si trova di tutto, compresi vari ATM. Da qui rientrati sulla N2 la lasciamo per tagliare in direzione Addo Elephant NP, prendendo però strade minori, la R102 e a seguire la R334 e R335, in zone a minore densità abitativa fino all’omonimo villaggio di Addo, poche case/baracche in un altipiano polveroso in forte contrasto con quanto visto fino ad ora. Essendo il campsite del parco esaurito, troviamo l’ultima piazzola disponibile all’Addo Homestead Caravan Park, che sarebbe lo spazio circostante la fattoria di una famiglia locale, quanto di più afrikaans si possa immaginare. Fortunatamente il piccolo campeggio è attorniato da enormi e frondosi alberi che proteggono dal vento altrimenti la preparazione della cena sarebbe stata complessa. Terminata questa ed il relativo lavaggio stoviglie c’è quindi tempo per connettersi al mondo che da qualche giorno avevamo abbandonato. Percorsi 380 km, su strade di vario tipo ma sempre in buono stato.
Una veduta della Dwesa Nature Reserve
8° giorno
Colazione al campo, lasciamo rapidamente il posto per entrare quanto prima possibile all’Addo Elephant NP. Le strade sono sterrate ma in buono stato, oltrepassato il centro visitatori prendiamo la strada per la zona sud-est facendo il giro largo verso Zuurkop Lookout. Iniziamo a vedere i primi animali, zebre a non finire, kudu, facoceri, eland, alcefali, però niente leoni anche se ne viene segnalata la presenza, ma è quanto giungiamo alla Haapor Dam che veniamo invasi dagli elefanti. Tanti, tantissimi, famiglie intere in libera uscita, chi gioca, chi si nasconde in acqua e chi cerca di imporsi, almeno un centinaio di elefanti a pochi passi, curiosi ma non interessati ai mezzi che stazionano nei dintorni. Terminati altri percorsi ad anello, tappa al Jack’s picnic site, area protetta dove poter pranzare (non c’è nulla in vendita, occorre portarsi tutto al seguito) e utilizzare i servizi igienici senza temere l’arrivo di un grosso animale, ci sarebbero pure i leoni, ma pare che da tempo nessuno li abbia avvistati. Riprendiamo il cammino entrando nella parte sud, Colchester Section, meno avvistamenti ma morfologia del territorio interessante, questa parte è transitabile solo con un 4x4. Terminata l’escursione all’Addo tra un numero ragguardevole di animali avvistati, tanto che la proliferazione degli elefanti sta diventando un problema, rientriamo nella N2 e ci spostiamo più a est possibile, passando East London per trovare un campsite a Chintsa Est, raggiungibile con una deviazione di 10 km dalla N2. Da non confondere Chintsa Est con Chintsa West, vicine ma non collegati direttamente l’una con l’altra. Il locale campeggio Arendsnes, ci mette a disposizione l’ultima piazzola libera, non proprio il massimo, ma alternative non ne avevamo. I servizi sono pochi per tutta la gente che vi staziona, la maggior parte dotati della propria imbarcazione per pesca d’altura, una mania locale da qui fino al confine col Mozambico. Cena al campo, abbastanza protetto dal vento quindi nessun problema per il fuoco. Percorsi 399 km, su strade buone, comprese quelle nell’Addo.
Panorama nei pressi di Coffee Bay
9° giorno
Colazione al campo, rientriamo sulla N2 che sale in direzione del passo nei paraggi del canyon del Great Key River Brigde, splendido scenario, ma lungo la N2 non ci sono piazzole panoramiche per riprendere la zona. Si sale e scende, ci teniamo sulla statale fino al bivio con indicazione Elliotdale, vogliamo perderci nella Wild Coast meno battuta e ci riusciremo perfettamente. L’asfalto termina quanto prima, le indicazioni scarseggiano, quasi nessuno della locale popolazione xhosa parla inglese o sa della Dwesa NR. Ad un distributore di benzina, l’unico per tanti kilometri con pagamento solo in contanti, facciamo rifornimento e otteniamo info preziose ma troppo limitate. Proviamo a seguire le info che ci son state date, percorriamo luoghi poco battuti ma contraddistinti dalle abitazioni tipiche degli xhosa, rondavel tondi con tetto di paglia e solito copertone di auto al centro a bloccare il tutto. Predominanza del colore turchese, ma non solo, altra annotazione, anche le più recenti e ben costruite sono dotate di toilette esterna. Dopo un certo numero di kilometri nel nulla arriviamo ad una riserva, The Heaven, che però non è la riserva naturale vera e propria, quella si trova sull’altro lato del fiume Mbashe, in linea d’aria 4 km, su strada 96… Ritorniamo sulla via appena percorsa cercando con attenzione il bivio giusto, lo troviamo dopo molteplici consigli, anche quello relativo a 14 km della morte in piena montagna. E così si rivela il percorso, si sale e scende senza soluzione di continuità, c’è da dire che le viste sono splendide e ripagano la fatica, soprattutto quando si sale e scende per oltrepassare il fiume Nqabara. La gente è cordiale ma un po’ stranita del nostro passaggio, la difficoltà linguista non aiuta, si va poco oltre a un destra/sinistra con disegnato dove svoltare. I 96 km che ci erano stati indicati, ai quali non credevamo, sono reali, ma passato il primo tratto lo sterrato non è male, così azzeccando qualche bivio dubbio giungiamo all’ingresso della Dwesa NR. C’è ancora tempo per esplorare la riserva, l’addetto ci apre la sbarra e ci impone di rientrare entro le 18, altrimenti chiuderà l’accesso con un lucchetto, per il resto possiamo andare dove vogliamo, anche dove il sentiero non c’è. Quindi si parte per escursioni che sanno quasi di esplorazione, non incontriamo nessuno, a parte un addetto a piedi che carichiamo per un tratto lasciandolo per andare in successione in esplorazione a Kobole Mouth, Dwesa Point e Mendu Point. Per arrivare ad ammirare una costa assolutamente selvaggia dove il verde dei parti precipita nel blu cobalto di un mare increspato da onde enormi occorre abbandonare il buon senso, andare avanti a prescindere dal fatto di non avere un sentiero. Così portiamo il nostro pick-up proprio a bagnare le gomme, ovvio che occorra un 4x4 robusto, dotato di ridotte ma soprattutto molto alto da terra. Per rientrare occorre trovare il passaggio nella foresta, fortuna che l’erba che avevamo calpestato all’andata non si è ancora ripresa, unico modo a occhio di infilare il passaggio corretto. L’escursione è entusiasmante, ovviamente non calcoliamo i tempi giusti e giungiamo alla sbarra ben dopo l’orario di chiusura, ma come prevedibile nessuno è venuto fin qui a serrarla, quindi prendiamo possesso della piazzola in un buio che col passare del tempo diventa sempre più chiaro, abituandoci appunto al buio aiutati da una luna piena, mentre le rane fanno un concerto che non ne vuole sapere di terminare. Finita la cena che predisponiamo grazie anche a un terrapieno che ci permette di mantenere il fornello a gas protetto, vediamo di difenderci dalle scimmie molto amanti del cibo mentre le gazzelle non hanno paura di venire al nostro tavolo, dormire è un’impresa perché c’è sempre una rana che lancia l’assolo e a quella rispondono decine e decine, per un concerto che nemmeno in centro a Cape Town avevamo sentito! Percorsi 351 km quasi tutti su sterrato, una parte in pessime condizioni, da 20 km in un’ora.
Lo spettacolare "Hole in the Wall"
10° giorno
Tira un vento che sembra far volare via il mondo intero, far colazione è un’impresa ma riducendo le aspettative con qualcosa ci scaldiamo e poi si parte. Vogliamo arrivare a Coffee Bay ma farlo a modo nostro, ovvero tagliando le montagne e non ritornare sulla N2. Ma non è così semplice, la soluzione arriva quando chiedendo a un conducente di un mezzo collettivo, questi fa scendere un passeggero che carichiamo noi perché conosce la strada. Passiamo tra sentieri, villaggi che sembrano disabitati ma qualcuno spunta sempre, le montagne della wild coast sono decisamente abitate, il percorso è bello e vario, scarichiamo il passeggero nel nulla e con le sue indicazioni giungiamo a Coffee Bay, paese incastonato tra le montagne con sbocco al mare, molto new age. L’attrazione principale però è qualche kilometro a ovest, lungo una strada che prima corre a precipizio sulla costa poi rientra tra le montagne con viste spettacolari, anche se nel mezzo di un vento proibitivo, scendere per una foto un’impresa. Quando giungiamo nei dintorni di Hole in the Wall c’è la corsa ad attenderci tra chi vuole custodirci l’auto e chi ci vuole portare lungo il sentiero. Non vorremmo visto che si vede chiaramente dove occorre dirigersi, ma in tre vengono ugualmente dicendo che gli andrà bene qualsiasi rand che gli daremo. Purtroppo la giornata è coperta ma lo spettacolo delle montagne in mare con al centro quella contraddistinta da un’enorme apertura dove s’infrangono onde maestose non è qualcosa di minore. Il rientro lo facciamo passando tra i faraglioni più a nord-est, sporgersi per foto sconsigliato perché sembra di prendere il volo. Al rientro al mezzo le guide ci chiedono una cifra spropositata così non gli diamo nemmeno quanto avevamo già messo da parte, continuiamo lungo la via per non oltre 500 metri, dall’alto della collina la vista è mozzafiato, e chissà, sarà stato il vento a bucare una gomma. A Coffee Bay ci dicono di chiedere di Magik sulla collina per riparare la gomma, giriamo più volte non identificando il gommista, quando un ragazzino si presenta come Magik e visto il danno dice che non c’è problema, non serve nemmeno smontarla. Pianta un punteruolo nella gomma per far uscire il chiodo, poi in un altro ci mette una striscia di caucciù, lo inserisce nella gomma, leva il punteruolo e col caucciù rimasto all’interno (a dire il vero una parte anche all’esterno) gonfia la gomma è tutto è sistemato. Ci chiede 90r, che sembra nulla, poi ci accorgeremo che è perfino tantissimo. La riparazione ha portato via pochissimo tempo, possiamo riprendere il viaggio verso Port S. Johns sempre lungo sentieri interni non segnalati. Tentiamo, anche se con poca convinzione, se il navigatore veda qualcosa e magicamente identifica un percorso, fra tratti sabbiosi, rocciosi e bivi dubbi arriviamo comunque a destinazione quando un rovescio di pioggia ha reso i sentieri di montagna un pantano unico, tanto che alcuni passaggi diventano fattibili solo inserendo le ridotte. Il paese è congestionato dal traffico creato dai tanti pulmini collettivi che hanno la base in pieno centro, facciamo spesa a uno Shoprite proprio sulla via principale poi proviamo a trovare un campsite, essendo la vigilia di Natale è tutto pieno, anche le piazzole lungo la strada per le grigliate serali. Qui c’è una cosa sola che unisce bianchi e neri, la griglia! C’è posto solo all’orribile Bulule nella zona delle spiagge. Molti degli abitanti locali sono xhosa pronti a festeggiare il Natale in abiti tipici e colorati in viso, il fumo delle griglie riempie già l’aria e il cielo. I suoni della festa incalzano, nel nostro campeggio il bar è uno dei luoghi designati, i terribili bagni, frequentati più da ragazze che prima si fanno il trucco e poi passano a vomitare, sono da inchiesta, ma questo è quanto si può trovare in un luogo turistico per popolazione autoctona, niente afrikaans per intenderci, starebbero male al solo pensiero di entrarci. La pioggia interviene a spegnere le danze dopo che caduta a spizzichi e bocconi ci aveva permesso di prepararci una cena di minima, il cenone di Natale non sarà da smaltire. Percorsi 299 km, tutti su sterrato, sovente pessimo.
continua...