Sono sempre stato incuriosito dalle situazioni atipiche e quindi, quasi automaticamente, sono attirato da quei paesi i cui confini sono recenti, poco conosciuti o addirittura discussi. Uno di questi è la Transnistria, e le condizioni in cui versa dà un'idea di a quale paradossi si può giungere quando si vuol perseguire a tutti i costi la strada dell'indipendenza, una percorso che molti partiti - quasi in ogni paese ce n'è uno - dicono di voler intraprendere ma di cui forse non conoscono gli effetti pratici.
Un carrarmato come monumento - Archivio Fotografico Pianeta Gaia
La Transnistria, parola che significa “al di là del fiume Nistro (o Dnestr)”, è un territorio precedentemente parte della Repubblica Sovietica della Moldavia che, alla caduta del blocco sovietico, si è autoproclamato indipendente il 2 settembre 1990. Si tratta di una stretta striscia di terra, lunga circa 120 km e larga da un massimo di 25 a un minimo di 4 km, popolata da poco più di mezzo milione di abitanti, centomila in più se consideriamo anche la città di Bender (o Tighina) che, benché al di qua del fiume, è all'interno del territorio controllato dalla Transnistria.
La frontiera con la Moldavia, pattugliata da truppe ONU - Archivio Fotografico Pianeta Gaia
Per capire come si è giunti alla situazione attuale è necessario conoscere la storia della regione. La Transnistria è sempre stato un territorio di confine: a partire dalla riva destra del Dnestr e fino a quella sinistra del fiume Prut – che segna il confine con la Romania - una volta vi era la cosiddetta Bessarabia, che corrisponde all'attuale Moldavia se si eccettua la parte più meridionale, in corrispondenza della foce del Danubio, che è territorio ucraino. Alla fine della Prima Guerra Mondiale il territorio venne rivendicato dall'Ucraina, allora una delle repubbliche sovietiche, e la Transnistria divenne un “oblast” (divisione amministrativa autonoma) al suo interno. A quel tempo la Romania era più vasta di quanto non sia oggi: aveva ottenuto la Transilvania che in precedenza era territorio austro-ungarico e comprendeva anche tutta la Moldavia, non a caso l'unica altra regione in cui si parla la stessa lingua (romeno e moldavo sono praticamente la stessa lingua, anche se parlata in maniera leggermente diversa).
Monumento ai caduti - Archivio Fotografico Pianeta Gaia
Le cose cambiarono durante la II Guerra Mondiale. Allo scoppio del conflitto, la Romania si mantenne inizialmente neutrale ma nel 1940 il Conducator Ion Antonescu, che costrinse Re Carlo ad abdicare in favore del figlio Michele, diede una svolta di tipo fascista alla nazione. Dapprima questo comportò la perdita di alcuni territori ma poi la Romania aderì al Patto Tripartito - composto dal Terzo Reich tedesco, il Regno d'Italia e l'Impero Giapponese - e affiancò l'esercito tedesco nell'Operazione Barbarossa di invasione dell'Unione Sovietica. In un primo momento, l'offensiva germanica fu inarrestabile e la Romania, che aveva fornito molti soldati al punto da essere il contingente più numeroso dopo quello tedesco e quello sovietico, poté annettersi di nuovo tutta la Moldavia e parte del territorio ucraino fino a Nicolaev, compreso l'importante porto di Odessa. Nel 1944 però la Germania dovette retrocedere e con l'avanzata dell'Armata Rossa, i sovietici si ripresero la Moldavia, trasformandola, nella Repubblica Sovietica della Moldavia e tale rimase fino alla caduta dell'URSS.
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