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5° giorno
Colazione sulla falsariga di quella del giorno precedente, poi via in jeep a scoprire la vera e propria Hisma Valley percorrendo la B874 verso ovest. La prima sosta è lungo la strada in zona rocciosa con deserto rosso, luogo contraddistinto da un grande dipinto di Re Fuad, il posto è definito proprio come “disegno del re”, a circa 70 km da Tabuk. Si può entrare a piedi in quest’area che sale in una valle che pian piano si chiude tra dune crescenti, la tendenza sarebbe di camminare a lungo, ma di luoghi da visitare ce ne sono molti, quindi dopo 45’ proseguiamo. Prossima meta Jabel Al Safina, enorme roccia conosciuta come La Nave, distante circa 80 km da Tabuk. Sulla grande roccia, bella da vedere anche solo per la formazione e l’ambientazione desertica, ci sono graffiti rupestri, il tutto sorge in area protetta senza però nessuno a presidiarne l’accesso. Da qui lasciamo la via per entrare nel deserto, come meta la Grotta del Faraone (probabile che di questi siq ve ne siano numerosi col medesimo nome) che si raggiunge dopo bei passaggi tra dune avvicinando le formazioni rocciose che hanno reso celebre l’Hisma Valley. Le jeep si devono fermare all’ingresso, a piedi si procede tra stretti canyon e qualche zona di respiro, poi pian piano i passaggi si fan sempre più stretti, accorre inarcarsi tra pareti alte oltre 100 metri, entrare di fianco e contorcersi, ovviamente uno per volta. Arrivati alla penultima apertura, con temperatura che sale ad ogni passo, per accedere all’ultima stanza, c’è solo un passaggio a terra in cui si striscia per circa 4 metri, lasciando zaini e quanto altro, altrimenti non c’è spazio. Così si arriva al termine di questa “tortura”, la vista all’indietro non si addice a chi soffre di claustrofobia, tenendo pure conto del fatto che se si volesse improvvisamente tornare sui propri passi lo si può fare solo se nessuno sta arrivando, non c’è il minimo spazio per muoversi negli stretti pertugi. Bello ed emozionante, ma va detto chiaramente, non per tutti. In queste ultime “sale naturali” almeno non c’è spazzatura, che invece altrove si trova in maniera eccessivamente copiosa, un vero peccato. Ritornati all’inizio del canyon, o grotta, tempo per rifocillarsi con quanto recuperato in precedenza, presso ogni distributore di benzina non mancano supermercati e negozi di generi alimentari pronti. Bello però è vagare indisturbati nel nulla tra dune e rocce in questo Plateau com’è anche chiamato. Una guida mi dice che il posto è chiamato anche Montagne di Giobbe, ma non garantisco sulla traduzione. Riprendiamo le jeep e tagliamo il Plateau in direzione del Piccolo Arco, che fa bella mostra di sé nel bel mezzo del deserto, anticipo di quanto vedremo in seguito, ma se le dimensioni di quest’arco non sono impressionanti, la collocazione e i colori giocano a suo favore. Da qui, altro trasferimento, sempre su piste desertiche, o meglio seguendo tracce precedenti al tempio Sumero, dove rimirare incisioni rupestri preislamiche, risalenti a 4000 anni fa. La chicca della giornata è lasciata come ultima tappa, ovvero il Grande Arco di Hisma, non distante da qua. Raggiunto il parcheggio, nei pressi del quale si trova un piccolo cimitero islamico, si sale a piedi per 10’, a metà piccola deviazione per vederlo dal versante basso, vista meno spettacolare. Si segue il percorso e si prende una deviazione segnalata sulla sinistra, volendo si può continuare per arrivare nell’area di Algtaar dove la vista spazia senza limiti su enormi rocce che paiono montagne dalle formazioni immaginifiche (per me una è l’immagine in scala minore ma non troppo dell’Australia). Ritornando al sentiero originale, nel giro di breve si scorge l’arco e pian piano la grandiosa vista sulle montagne circostanti. Peccato che una nuvola fantozziana oscuri il sole e renda i colori meno intensi, lo spettacolo rimane in ogni caso notevole. Ovviamente ognuno vorrà immortalare arco e vista sulle montagne nella maniera più personale possibile, la sosta è prevedibilmente lunga, oltre ad essere l’ultima della giornata, quindi senza fretta.
Il Grande Arco della Himsa Valley
Riprendiamo la via di casa, o meglio di Tabuk, dove giungiamo verso il tramonto, 247 km dalla partenza, in tempo per una tonificante doccia. Il tempo da dedicare all’Hisma Valley è terminato, a identificazione del luogo aggiungo che questo deserto è in terra saudita la continuazione o la parte iniziale di quello che in Giordania è chiamato Wadi Rum, più celebre e conosciuto poiché quello stato si è aperto al turismo con decenni di anticipo. Ma se possibile perfino più affascinate, perché più vario e ancora misterioso. Per cena, a piedi, prendiamo a sinistra dagli appartamenti a differenza del primo giorno, da questo lato, attraversata la grande arteria stradale grazie a un ponte pedonale sopraelevato, c’imbattiamo in una sorta di grande centro commerciale pieno di ristoranti di alto livello. Ne scegliamo uno a caso, di livello perfino troppo elevato, dal scegliere il cibo in cucina coi cuochi, passiamo a un menù da QR code e wi-fi a disposizione, qualità ottima e abbondante, deve essere uno standard saudita il fatto di ingozzare con ogni portata gli astanti. Fa fresco di sera inoltrata qui al nord, una felpa e un k-way non sono male.
6° giorno
Colazione in appartamento con quanto recuperato in negozio il giorno prima e qualche dolcetto da casa, tutto con ampio anticipo perché il trasferimento sarà lungo e incontreremo vari luoghi da vedere con attenzione. Appena fuori Tabuk presso un distributore di carburante scorta cibo per il giorno, poi via lungo la strada che porta a sud in un territorio montagnoso. Percorsi 117 km la vista spazia sulla valle con un panorama senza fine, rocce lavorate dal vento che paiono tanti funghi giganteschi, poi si scende per entrare in questo luogo magico, al termine dell’asfalto si sgonfiano le gomme e via, si entra. Il Wadi Disah, o Valle delle Palme, è un lungo e tortuoso canyon che si attraversa anche in jeep, percorso da più falde acquifere, pareti a strapiombo fino ad oltre 500 metri, in più posti nelle pozzanghere questi pinnacoli regalano riflessi favolosi. Ci sono luoghi ove fermarsi per belle camminate, magari incrociando alcuni locali a dorso di dromedario o asino, piccoli archi naturali molto scenografici tra rocce di un rosso fortissimo. Altre parti del canyon si percorrono risalendo il letto del fiume che oggi ha una buona portata d’acqua ma è fattibile, tra rami e vegetazione che segni decisi sulla carrozzeria li lasciano. Lo spettacolo è sempre più impressionante, siamo un nulla stretti tra queste pareti.
Famiglia tradizionale al picnic nel Wadi Disah
Il Wadi Qaraqir, nome locale del canyon, si apre in alcuni posti dover fermarsi e far tappa per poter girare a piedi al meglio il wadi, ma pure per sostare al sole e rifocillarsi, nel nostro caso per tentare un approccio con una famiglia locale qui per il picnic. Marito, due mogli e quattro figlie, avanziamo con discrezione, comprendiamo che per loro sia qualcosa di anomalo, non siamo ricevuti dal padrone di casa con grande calore, ma presentandoci si familiarizza, una delle figlie parla un po’ d’inglese (appreso guardando serie e film su Netflix) e diviene il tramite col padre, col quale non ci si può esimere di confrontarsi. Passato il primo approccio, ci offrono di tutto, l’immancabile caffè arabo e un numero infinito di dolci, dove la Ferrero svetta incontrastata leader con prodotti di ogni tipo. Noi non abbiamo praticamente nulla per contraccambiare se non una presenza per loro folkloristica, tanto che le ragazze son pur disposte a far foto assieme, anche se solo con altre donne, il padre apprezzerebbe poco con uomini, la diffidenza sotto sotto rimane. È comunque un bello spaccato di mondo remoto, qua tra le gole di un canyon fiabesco, loro provengono dai dintorni, il nostro citare Italia ha poco riscontro, se non che si trovi vicino a Parigi, per loro conosciuta soprattutto per una serie sempre su Netflix. Usciamo dal versante opposto dell’ingresso del wadi proprio dov’è situato il villaggio di Disah, che si connota per uno splendido campo da basket con vista canyon e per il miglior hamburger della zona, nonché l’unico mi sa. Gonfiate le gomme ci attende un lungo trasferimento fino ad Al Ula (circa 280 km), il centro con più richiami storico-turistici dell’Arabia Saudita. La tratta è lunga, non facciamo soste per andare direttamente a rimirarci il tramonto alla Roccia dell’Elefante (Jabal Al Fil), gigantesca roccia di 52 metri che riproduce alla perfezione un elefante. Il luogo, 23 km a nord est di Al Ula, è molto turistico, dal parcheggio si procede a piedi alla roccia, potendo passare a fianco oppure nella spaccatura tra corpo e proboscide. Nell’altro versante, ideale al tramonto, ci sono bar e tavolini incastonati in cerchi di sabbia scavati nel suolo, così da proteggere dal vento, molto ma molto turistico, ma pure molto bello. Godersi il tramonto con vista sulla roccia da qui ha un fascino notevole, magari non da isolamento desertico al 100%, ma per una volta trattarsi bene con questa vista non è male. I bar possono servire ai tavoli, ma quasi tutti prendono al bar e si siedono, immancabile per i locali il narghilè, e naufragare fino al tramonto è bello in questo deserto. Per i fotografi più appassionati però una vista dal versante contro sole, che s’intaglia tra corpo e proboscide, può valere più di un drink, e allora perché farci mancare anche questa immagine? Qui anche i locali paiono meno attenti a usi e costumi, ci sono tante persone in vacanza tra gli espatriati che lavorano in Arabia, con loro scambiare opinioni sui posti visti è un piacere, un gruppo d’infermiere malesi fatica pure a credere che dall’Italia si sia scelto di passare la fine dell’anno nel deserto arabico, ma Al Ula val bene non solo una messa (che nel mio caso non c’è da decenni…) ma anche cenoni e feste mancate. Col sole già ampiamente nascosto arriviamo ad Al Ula per posizionarci negli appartamenti prenotati ad Al Subhi, camere enormi, ma sistemate male, con bagno non irreprensibile, lavandino in corridoio, cucina che necessita di una sistemazione, wi-fi operativo ma con solo 4 accessi contemporanei. Doccia veloce, poi a piedi raggiungiamo Old Town (Ad Deerah) che dista circa 4 km, di sera è aperta (si entra esibendo l’app Tawa) la parte ristrutturata, nell’area formata da ristoranti all’aperto e botteghe tradizionali, per l’ultima serata dell’anno ci diamo al lusso di un ristorante all’aperto ma dotato di grandi funghi che riscaldano, di sera la temperatura è buona se si cammina, fermi non proprio. Cena ottima, la più cara del viaggio ma dati contesto e giornata ci siamo fatti un regalo (che poi il cenone di fine anno nel bel mezzo di un luogo patrimonio Unesco a 20€ dove lo trovi?), finendo per farci un giro in questa “vasca” dove ricadono un po’ tutti gli stranieri presenti e anche molti abitanti. La vera Old Town la visiteremo in seguito, rientriamo in hotel fermando un taxi proprio di fronte l’uscita nord, poche storie su quanti possano salire. La sveglia all’indomani chiama ore 5:00, la mezzanotte la passiamo già riposandoci dopo 585 km in jeep oltre a quelli a piedi, immersi in paesaggi di potente bellezza.
continua...