... segue
16° giorno
Dopo di una sontuosa colazione in hotel, è subito ora di spostare gli zaini su di un grande ma non propriamente comodo bus che in due tappe ci porterà a Delhi. Si percorre la Kullu Valley, nel mezzo di un verde intenso attorniati da infiniti negozi di pashmine. Il panorama è ben differente dalle meraviglie dello Spiti, in più viste le condizioni delle strade (molti lavori di migliorie), non c’è tanto tempo per escursioni varie così occorre andare senza possibilità di approfondire la conoscenza con quanto ci scorre a fianco. Passata Mandi, sosta per pranzo in un grande ristorante (a dire il vero noi eravamo entrati in un bugigattolo a fianco che sembrava molto più rustico, ma poi ci hanno riportato loro stessi al ristorante perché era in pratica la medesima cosa) dove assaggiamo vari piatti tipici contraddistinti dal solito piccante ammazza papille, ma tutto sommato quasi tutto molto buono. 50 km dopo lo stato dell’Himachal Pradesh termina ed entriamo nel Punjab notando da subito enormi differenze. Intanto ci siamo abbassati di molto, la temperatura si è alzata velocemente e l’umidità impenna più di Troy Corser durante un nack-nack. Ma è anche la concentrazione di persone che riporta all’idea di India da immaginario collettivo, gente, gente e gente che vive lungo grandi discariche alla ricerca di qualcosa che la possa portare sereno fino a domani. Il Punjab è lo stato che maggiormente ha subito l’esito della spartizione col Pakistan, dovendo rinunciare alla sua capitale, Lahore, designata ai vicini nemici. Così in pochissimi anni, sotto al progetto dell’architetto Le Courbusier è nata una moderna città che di India nulla presenta, ma che rappresenta o dovrebbe rappresentare il futuro di una nazione. Chandigarh (una specie di Brasilia indiana) è questa città, nostra meta per la serata. Ci arriviamo prima del tramonto quindi con un bel sole calante, percorrendo amplissimi viale con semafori dai temporizzatori ben indicanti sia i tempi per la luce verde che per quella rossa, spazi enormi e casette al massimo di 2 piani. Solo nelle zone del centro sorgono costruzioni più alte, destinate solitamente ad attività commerciali o a sedi ministeriali, perché, altra stranezza, Chandigarh è capitale del Punjab ma anche del vicino stato del Haryana. Del resto, si saran chiesti, perché sprecare una città nuovissima (prime costruzioni attorno al 1955) come questa per un sol posto? Per l’ultima notte in un letto del viaggio ci concediamo il lusso di un hotel di classe, anche perché fuori dai periodi di maggior turismo i prezzi precipitano, si accede a una camera splendida, in più c’è uso gratuito di internet (non veloce però come a Manali). Divisa per settori, in serata nel caldo ed umido ci giriamo il settore 17 in cui si trova l’hotel, tra grandi ristoranti, negozi dalle firme occidentali, ragazzi perfettamente integrati con le nostre abitudini (si dice che molti indiani bene vengano a vivere qui per staccare con l’India tradizionale) a fianco però nella notte tarda di autisti di bici per trasporto cose e persone che si adagiano su cartoni per giacigli (che comunque non ci disturbano mai). I ristoranti che si trovano in questa zona o sono carissimi oppure hanno aria condizionata da blocco intestinale, ne incontriamo almeno due molto interessanti, ma dai prezzi che equivalgono a quanto ci costerebbe mangiare per tre mesi lungo lo Spiti… Così rimediamo in un posto dove i più cadono sulla pizza all’indiana, ma dove ci sarebbe anche un ricco buffet (ricco anche nel prezzo però) a fianco di chicche tipiche del luogo come le lasagna bolognaise. Per chi fuma, c’è la sala dedicata, in realtà è una terrazza esterna, quindi nel bel mezzo di un umido intenso. Percorsi 320 km.
Nek Chand Fantasy Rock Garden, Chandigarh
17° giorno
Sveglia molto presto, non vogliamo trovarci nei guai per rallentamenti stradali, così la lauta colazione a disposizione è limitata perché cuochi e inservienti si svegliano dopo di noi. Prima di lasciare Chandigarh visitiamo il Nek Chand Fantasy Rock Garden, un grande parco realizzato da Nek Chand recuperando in oltre 30 anni pezzi di spazzatura che nel mezzo di questo dimenticato parco venivano scaricati. Il parco è effettivamente incredibile come ovunque qui vien descritto. Se l’inizio non impressiona, pian piano si rimane sbalorditi da quello che questo personaggio sia riuscito a creare. Cascate, grotte, enormi spazi ripieni di statue di vario tipo raffiguranti uomini e animali, murales e quanto l’immaginazione potrebbe inventare qui c’è, pensate ad un parco Güell all’indiana. Non vi troverete la forza iconoclasta di Gaudì, ma ancora più varietà nel realizzare cose che vi lascieranno a bocca aperta, e come la Sagrada Familia, anche questo enorme parco è ancora in costruzione, uno spettacolo senza fine, eravamo entrati per farci un veloce giro e dopo tre ore eravamo ancora dentro ai suoi tunnel segreti. All’uscita proviamo a vedere la parte istituzionale della città, tra la High Court e il Secretariat, cercando la scultura più celebre di Le Courbusier, una enorme mano aperta. Ma arrivarci non è affatto semplice, nessuno sa indicarci come oltrepassare la zona governativa e l’unica apertura è presidiata dai militari, ci va bene che non ci sparino addosso al primo passo nel territorio recintato (c’era una grande apertura, perché non entrare?) urlandoci solo dietro di uscire immediatamente. Il caldo è talmente umido che prima di mezzodì son già sudato fradicio, così mi rifugio in una preziosa spremuta di arancie che realizzano alcuni ragazzi nei paraggi, e pazienza se spunterà un po’ di ghiaccio di dubbia origine. Pare la bevanda migliore del mondo in questo caldo, e visto che il ghiaccio non porterà nessun conseguenza negativa, ne avranno a lamentarsi coloro che ne hanno rinunciato. Di tutta fretta si parte per Delhi, comprando da banchetti lungo la strada un po’ di cibarie. C’è anche una specie di autostrada, da intendersi però alla loro maniera, visto che camion, animali e biciclette la percorrono anche in senso contrario, comunque rispetto ai passaggi impossibili nelle montagne la tempistica è completamente diversa e arriviamo a Delhi dalle parti del Red Fort che non sono nemmeno le 17, immaginando di aver parecchie ore in città per una veloce visita o per un po’ di shopping dal momento che l’aereo partirà alle 1:15 del giorno dopo. Però una pioggia monsonica (ci avevano tutti detto che questo sembrava un anno di siccità) ha sconvolto la città, file ovunque e in molte strade oltre 50 cm d’acqua dove i bambini si tuffano giocosi. Muoversi diventa un’impresa, per andare dal memoriale di Gandhi alla zona del Birla Mandir (appuntamento con una persona che deve assolutamente darci le conferme dei voli, vabbè) ci impieghiamo oltre tre ore e a quel punto iniziamo a capire che forse sarebbe meglio iniziare ad andare all’aereoporto. Dopo aver percorso più volte i viali attorno all’India Gate che così vediamo totalmente illuminato entriamo in un traffico da girone dantesco (rarissime ormai a Delhi le splendide e caratteristiche vecchie auto Ambassador). Viali a tre corsie per senso di marcia, quando si intasano quelli nella propria carreggiata, qui vengono invasi anche le altre tre riservate all'altro senso di marcia, in modo da creare blocchi ovunque nella città. Servono 30’ per fare meno di 500 m, e così iniziamo a preoccuparci di poter arrivare in tempo all’aereoporto. Nel mezzo della disperazione, iniziamo a prendere in considerazione di fermare chi viaggia in moto (gli unici che si muovano, anche se su marciapiedi e giardini) per chiedere un passaggio. Fortunatamente entriamo in viali che hanno lo spartitraffico, così gli automobilisti locali che guidano ancora come se fossero in bicicletta, non possono invadere le corsie in senso opposto e pian piano ci muoviamo fino all’aereoporto. Arriviamo in ritardo rispetto all’orario richiesto (giusto un’ora prima della partenza), ma all’aereoporto son tutti messi come noi, vengono aperti check-in supplementari e così appena metto piede dalle parti dei check-in sono il primo e non faccio nemmeno in tempo a dividere cosa imbarcare e cosa portarmi al seguito (in India non cè problema con liquidi o prodotti “pericolosi” ma una volta in Europa le regole cambiano e chi non ha avuto tempo prima per discernere cosa mettere e dove finisce per lasciare cose preziose e costose) e decidere se stoppare lo zaino a Frankfurt o no. Alla fine son occorse oltre 6 ore per andare dal centro di Delhi all’aereoporto, nemmeno 15 km di viaggio. In totale percorsi da Chandigarh 285 km.
Per le vie della città disegnata da Le Courbusier, Chandigarh
18° giorno
Anche se arriviamo in ritardo, notiamo che l’imbarco sul volo Air India per Chicago con sosta a Frankfurt non è ancora iniziato, veniamo a imparare che anche l’equipaggio arriverà in ritardo a causa del folle traffico locale, così partiamo con quasi un’ora di ritardo che però recupereremo nel volo (solo 10’ accusati all’arrivo). Appena decollati, finalmente si cena, la giornata era trascorsa a patatine causa ritardi negli spostamenti, e non si può non ricadere sull’ultimo piatto indiano che viene offerto tra le tre opzioni. In queste condizioni mi è facilissimo dormire e arrivo a Frankfurt non accorgendomi nemmeno delle oltre 7 ore di volo, intervallate poco prima della mattina da un'abbondante colazione. A Frankfurt occorre rifare il passaggio della dogana e per chi ha dimenticato, coltellini, forbici, eccessi di batterie o qualsiasi contenitore di liquidi maggiore di 100 cl (non vengono accettati nemmeno se messi nell’apposita busta trasparente che qui si paga) non è un bel momento dovendo rinunciare a prodotti a volte costosi o da tempo compagni di viaggi insosituibili. A Frankfurt ho una lunga attesa per il volo per Malpensa, ci sarebbe posto per un volo 4 ore prima per Linate ma avendo imbarcato il bagaglio fino a Malpensa non si può cambiare il volo. Per molti il ritardo di Delhi ha finito per avere spiacevoli conseguenze, sia in soldi che in tempo, ma alla fine dopo aver girato in lungo e largo l’aereoporto ed aver notato che un’ora di internet costa la bellezza di 16 €, arriva anche il mio decollo. Il volo per Malpensa è puntuale anche in arrivo, nel frattempo ci vien servito un kit combinato con panino, bounty e acqua. Il ritiro dello zaino è velocissimo, lo shuttle per la stazione parte in 5’ e quando arrivo faccio al volo un biglietto per il primo treno in partenza per Bologna che è una freccia rossa ad alta velocità. Da quando son sbarcato a Malpensa a quando entro in casa a Bologna son passate meno di 3 ore, un tempo fantastico anche se con quei soldi ci avrei potuto girare mezza India godendomi dei ritmi lenti e rilassati del luogo, potendo meditare sui mali del mondo senza l’ansia che qui invece vedo sui volti di troppa gente.
2 note di commento
Il viaggio si è svolto in agosto, periodo migliore per passare dal Kinnaur allo Spiti rientrando da Manali in quanto i passi himalayani sono aperti (magari con un po’ di problemi di frane, ma aperti). Un € valeva nell’estate 2009 indicativamente 68 rupie, mentre un dollaro 45 rupie. Nelle città nessun problema per prelevare rupie, ma una volta entrati tra le montagne carte di credito e bancomat sono inutilizzabili, però cambiare denaro non è mai un problema. Per entrare in India serve il visto, da richiedere all’ambasciata a Roma per chi abita da Firenze in giù o al consolato a Milano per gli altri, inviando passaporto e un modulo scaricabile da loro sito. Per passare dal Kinnaur allo Spiti serve però un permesso speciale ottenibile a Rekong Peo o a Kaza. A Rekong Peo non occorrono più le 4 foto che fino a poco tempo prima venivano chieste, a Kaza non so. Trovare computer in linea per connettersi a internet è semplice nelle città, tra le montagne a parte a Kaza non ne ho mai incontrati, Skype nelle città è sempre disponibile, per i cellulari vale più o meno lo stesso discorso. Nonostante si stia sovente oltre i 3000 m le temperature sono sempre molto alte, quindi una giacca idrorepellente e magari rompivento è sufficiente, assieme a una felpa o pile. Occorrono prodotti per proteggersi da un sole forte e costante per tutto il viaggio, un cappello e occhiali da sole fanno molto comodo . Una volta lasciata Rekong Peo e prima di arrivare a Kaza per dormire occorre far tappa nelle guest house dei monasteri, in alcuni casi meglio prevedere un sacco a pelo o almeno un sacco letto, quando non un materassino gonfiabile che dovreste comunque aver con voi perché le guest house non sono prenotabili, danno accoglienza a chi primo arriva e nel caso fossero piene lasciano la possibilità di montar la tenda nei paraggi e utilizzare i servizi. Le guest house costano indicativamente da un minimo di 100 r ad un massimo di 250 r, si trova sempre lo spazio per far cucina e hanno quasi sempre uno piccolo spaccio dove comprare almeno cibi in scatola e bevande. Il Kinnaur è di religione induista, mentre lo Spiti (che significa “terra di mezzo”) è a prevalenza buddhista, ma a parte le grosse differenze dei monasteri questo non comporta nessun inconveniente tra le popolazioni, almeno nulla ricade sui visitatori. La lingua ufficiale è l’hindi, qualcuno che parla inglese lo si trova ovunque, anche in sperduti villaggi tra le montagne nel mezzo di contadini che sembra non abbiano mai visto una scuola, e questo la dice lunga sulla loro cultura personale. Poco da aggiungere sulla cucina indiana che ormai la fa da padrona in tutto l’occidente, ne godono maggiormente i vegetariani (pollo a parte, difficile trovare con continuità altre carni) che possono sbizzarrirsi con una quantità infinita di spezie per cambiare gusto a prodotti simili, ma alla lunga in mezzo alle montagne sempre con gli stessi piatti ci si annoia. Il fuso orario indiano, durante il periodo italiano dell’ora legale, è 4:30 ore avanti.
Fine