Il Myanmar è un autentico coacervo di minoranze etniche: secondo il governo birmano sono ben 135, suddivise in 8 gruppi maggiori, mentre gli studiosi, che le dividono in 13 gruppi, ritengono vi siano circa una cinquantina di etnie non ufficialmente riconosciute. Non preoccupatevi, non vi parlerò di tutte quante, anche perché non le conosco: mi limiterò a parlarvi di quelle che ho incontrato nello stato Kayah, nel sud del paese, al confine con la Thailandia, aperto al turismo internazionale solo da pochissimi anni.
Donne Kayan/Padaung, famose per gli enormi collari di bronzo - Copyright Pianeta Gaia
Escludendo i Bamar, che col 68% sono l'etnia di maggioranza, nessuna delle altre popolazioni supera il 9%, spesso con un numero inferiore all'1%. Probabilmente l'etnia più nota di tutte è quella dei circa 40.000 Kayan (o Padaung, una denominazione che non amano), le cui donne – famose per gli alti collari coi quali si decorano il collo – sono chiamate “donne giraffa”. Benché siano diventati conosciuti in Thailandia, i Kayan sono originari degli stati Shan (dove non è possibile accedere via strada perché chiusa agli stranieri per via dei confini pochi tranquilli con Cina e Laos, oltre a problemi di produzione di droga) e Kayah, quest'ultimo chiuso al turismo internazionale fino a tutto il 2012, e nei primissimi anni era ancora molto difficile entrarvi perché nonostante l'apertura ufficiale non sempre i poliziotti locali concedevano i permessi. Ogni tanto si legge ancora che le donne Kayan non possono togliersi gli anelli perché, avendo i muscoli del collo atrofizzati o addirittura le vertebre del collo allentate, soffocherebbero: è una leggenda metropolitana, in realtà l'unico effetto che generano gli anelli di ottone è un abbassamento delle clavicole, che non comporta particolari problemi di salute.
Donna Kayah al telaio - Copyright Pianeta Gaia
I Kayah, l'etnia che da il nome allo stato, è composta da circa 300.000 individui. Sono animisti e, come spesso accade, anche fra loro sono le donne quelle che perpetuano maggiormente le tradizioni: vestite con stoffe che lasciano una o entrambe le spalle scoperte, hanno i capelli coperti da un turbante rosso, pesanti orecchini che allungano a dismisura i lobi e una strana (e probabilmente anche poco comoda) decorazione sotto le ginocchia. Vivono in abitazioni di legno sopraelevate e effettuano sacrifici animali – di norma polli – per propiziare preghiere o l'inaugurazione di una nuova casa, evento a cui ho fortunatamente assistito.
Una famiglia Kayaw - Copyright Pianeta Gaia
Nello stesso territorio si trovano anche i poco noti Kayaw (tutti nomi finora piuttosto simili), detti anche Bwe, le cui donne portano spirali di ottone alle ginocchia, abiti di cotone di color porpora e piercing alle orecchie. Sono zone dove il turismo è penetrato davvero poco e solo di recente. Io ho avuto l'opportunità di essere fra i primi, se non proprio il primo, a visitare un villaggio che era stato collegato da una nuova strada da poco meno di un mese: la desuetudine al contatto con i visitatori stranieri era piuttosto evidente.
Una madre Li Shaw col figlio - Copyright Pianeta Gaia
Sempre nello stato Kayah s'incontrano anche i Li Shaw, probabilmente i meno noti di tutti al punto che si fatica a trovare informazioni sul loro conto anche sul web. Hanno abiti verdi e porpora con una apertura laterale e, nei giorni festivi, indossano un copricapo circolare con perline che scendono fin davanti agli occhi.