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14° giorno
Siam tutti svegli ben prima dell’alba alla ricerca di un caffè caldo, il freddo è stato molto intenso e non si vede l’ora di muoversi. Prima di riattraversare Mertoutek, sulla destra dello uadi principale un chilometro fuori del paese ci sono interessanti pitture rupestri, per trovarle ci aiutano ovviamente gli autisti perché stanno all’interno di ripari naturali dove chi soffre di claustrofobia farà meglio a non entrare, però ci sono alcuni passaggi tra fori e crepe che sono proprio belli da percorrere. In paese facciamo nuovamente scorta di acqua a fianco dell’ufficio del parco e ci dicono che oggi ci sarà un matrimonio tra una ragazza del posto e un ricco cittadino di Tam. Se vogliamo fermarci siamo ospiti graditissimi, ma occorre attendere tutto il giorno perché l’ingresso della delegazione dello sposo avverrà non prima delle 16, oggi è solo il primo giorno della festa che potrebbe durare fino a una settimana. Optiamo per procedere, ci dicono che potremo incontrare la comitiva lungo il percorso e far tappa a pranzo con loro, così usciamo da Mertoutek e ci avviamo verso sud lungo una pista che, passato il bivio per risalire al Garet Deanoun, si trova in condizioni nettamente migliori rispetto a quella del giorno precedente. Effettivamente ci imbattiamo nella comitiva dello sposalizio, e gli autisti scendono a parlare con un po’ di persone che ci accolgono. Ci inviato a rimanere con loro, ma lo sposo ha avuto un lutto a Tam e il matrimonio sarà in forma minore, quindi il tono generale è molto dimesso. Le donne se ne stanno appartate e solo alle donne che sono in viaggio con noi è permesso andare a visitarle, nel frattempo a noi ci viene offerto il pranzo, carne di montone stufata con pasta un po’ scottarella. Gradiamo comunque, visto che per una volta evitiamo tonno e salmone e iniziamo a farci spiegare il rito dei matrimoni tra queste genti ricche del posto. Per lo sposo (di 44 anni) la giovane ragazza (18 anni) di Mertoutek sarà la seconda moglie, lui può garantirle una vita decorosa e così la prenderà in moglie, anche se per lo stato algerino i diritti saranno garantiti solo alla prima moglie. Per la giovane ragazza questa sarà una maniera per uscire dall’isolamento del suo piccolo villaggio, ma a Tam finirà per fare poco più che la donna delle pulizie a disposizione del marito-padrone. Unica consolazione per lei, lo sposo pare una persona educata e colta con la quale si dialoga molto bene (almeno questo è quanto accaduto a noi), e Tam si rivelerà una vera e propria città come avremo modo di constatare quando la visiteremo in seguito. Ripartiamo salendo su di un plateau tutto nero da dove si scorge finalmente il gruppo montuoso dell’Atakor, ovvero l’Assekrem di Padre De Foucauld e il Tahat, la montagna che coi suoi 2.908 m è la più alta dell’Algeria. Qui nel mezzo il Tafedest fa impressione, nerissimo e circondato solo da vulcani altrettanto neri, pare non esistere vita se non fosse per le rose di gerico che si possono scorgere ovunque la nera roccia lasci spazio alla sabbia. Arriviamo a Hirafok dove occorre mostrare il permesso per il parco del Hoggar e dove facciamo un piccolo giro del paese. La gente pare più abituata che altrove alla presenza di viandanti, ci sono alcuni negozietti che vendono poco ma di tutto e dove gli autisti fanno scorta per gli ultimi giorni di campo. In una grande casa che fa anche da laboratorio e bottega artigianale veniamo invitati a conoscere il loro progetto di espansione delle attività locali, molta dignità e poco piangersi addosso qui attorno, dove per chi fosse interessato i cellulari funzionano. Prendiamo la strada che esce in direzione dell’Assekrem, ma poco dopo facciamo campo in una depressione naturale a fianco della riva di uno uadi cercando di risparmiarci il forte vento previsto per la notte. Il cielo si riempie di leggere nuvole che il sole al tramonto colora in modo impossibile, a un certo punto pare che tutto il cielo sia sottoposto a incendio, situazione splendida ma un attimo inquietante, poi pian piano tutto diventa blu cobalto ed è già tempo di stelle e cena, occorre scaldarsi ben bene, la notte sarà fredda. Percorsi 110 km.
L'alba sull'Assekrem
15° giorno
Notte fresca ma non fredda, colazione rapida e partenza per quella che è ritenuta la perla del viaggio, l’Assekrem, da salire lungo la pista che passa da nord, segnalata come pessima. Si parte su pista buona, almeno 25 km tranquilli dove rimirarsi lo spettacolo della catena dell’Atakor, con sosta a una splendida guelta. Poi pian piano la pista peggiora e alcuni passaggi diventano complessi con jeep appoggiata sulla parete della montagna sperando che il fondo non ceda nello strapiombo sottostante, mentre vediamo una carcassa di dromedario (e mi torna alla mente un servizio di un “folle” che attraversava deserti in solitario utilizzando queste carcasse per passarci la notte). Incontriamo saltuari nomadi lungo il percorso che pian piano sale e diventa sempre peggiore. Si vede in lontananza un passo nel mezzo di un canalone che pare duro da salire a piedi e in effetti una salita di nemmeno 2 km ci porterà via quasi un’ora. Si sale dove si può, orizzontandosi con gli omini di pietra che indicano il senso più che la via, l’arrivo al passo regala la pace di aver superato questo terribile pezzo di pietraia e la vista dell’Assekrem che però non è proprio così vicino. Per compiere 60 km impieghiamo 5:30’, passando a fianco delle splendide montagne gemelle del Tezouai che viste mirabolanti regaleranno al tramonto e all’alba. Si arriva a un bivio dove a destra si va per l’Assekrem mentre a sinistra si torna verso Tam, 8 km che percorriamo in 30’ così per questi pessimi (come percorso non certo come viste) 69 km impieghiamo 6 ore. All’Assekrem si soggiorna presso il locale rifugio gestito dall’equivalente del CAI francese, e arriviamo in un momento di lutto perché il responsabile francese è deceduto da pochissimi giorni. Troviamo alloggio in uno stanzone spartano dove ci sono materassi per terra con coperte e cuscini, nelle vicinanze è possibile trovare un bagno ma nessun lavandino o doccia. L’alloggio compreso di cena e colazione costa 1.500 dz, e alternative non se ne trovano. Tira un vento costante e ruggente, pranzato alla meno peggio col solito tonno, si sale all’eremo di padre Charles de Foucauld dove la vista può spaziare su tutto l’Hoggar. Quassù (2.780 m) si rifugiò per sei mesi il padre (ucciso nel 1916 a Tam da una fucilata sparata da un Tuareg impaurito, cinque anni dopo aver lasciato l’eremo) costruendo il piccolo eremo dove ora vivono tre frati, uno dei quali è qui da 37 anni, dedicandosi in parte al lavoro di meteorologo per la vicina stazione presidiata dall’esercito. C’è un ingegnoso sistema per recuperare e filtrare l’acqua piovana, mentre per i viveri i frati vengono riforniti ogni 15 giorni dai tecnici della centrale meteorologica. Si incontrano militari di vedetta, parlando con loro ci raccontano che son qui soprattutto a protezione dei turisti, troppo importanti per l’economia algerina. Ma han ben poco di militaresco, son più interessati a far chiacchiere con chi passa o far festa la sera, almeno quelli a cui non spettano turni notturni. Lo spettacolo è fantastico, fermarsi qui a rimirare il mondo regala visioni superbe e una pace infinita, non c’è posto dove cada la vista che non meriti di essere ammirato, ma ovviamente il bello arriva col tramonto. Il gruppo del Tezouai è ovviamente il pezzo forte, ma il tramonto è splendido dall’altro versante, poi quando il sole cala il freddo e il vento sono micidiali e occorre scendere velocemente accompagnati dalla luce delle torce, fondamentali per camminare tra le rocce. Dopo tutto quello visto si sarebbe già sazi, ma è tempo di cena nella vasta sala comune, menù fisso e abbondante (zuppa, cous-cous di verdure e carne e per finire il dolce) e poi assieme agli altri ospiti, agli addetti del rifugio, agli autisti e alle guide fino alle 22:00 si fa festa. Alle 22:00 l’energia elettrica prodotta da un generatore vien sospesa e occorre affrontare il glaciale vento per rientrare nello stanzone per dormire, dopo aver percorso 69 km.
Nomade dell'Atakor
16° giorno
Sveglia alle 6:30 per salire all’eremo e gustarci l’alba. Passata una fantastica e calda notte, il freddo dell’alba a quasi 3.000 m nel mezzo del deserto è come un pugno di Tyson inaspettato, ma occorre salire per non perdersi lo spettacolo. Dal rifugio non è possibile vedere granché, in meno di 20’ si arriva in cima, guidandosi sempre con le torce (e coprendosi con tutto quanto possibile, fondamentali guanti e cuffia). Non occorre però arrivare fino in cima per iniziare a osservare una meraviglia talmente intensa che pare finta. Tra la forcella naturale creata dalle due montagne del Tezouai (per intenderci stile cime di Lavaredo) il sole sorge in stile africano, la palla rosso fuoco che pian piano si tinge in giallo, è talmente superbo tutto questo che potrebbe essere scambiato per una scenografia costruita al computer, ma il vento, gli altri viandanti che esclamano la propria incredulità e ammirazione per quanto abbiamo di fronte ci riporta sulla terra, anzi sull’Assekrem. Come se la nascita del mondo avvenisse proprio davanti ai nostri occhi, mentre anche il freddo non ci colpisce più. Sole, ombre, montagne, picchi, vallate a perdersi nell’infinito, c’è tutto quello che la perfezione della montagna mette a disposizione, peccato che ad un certo punto bisogna scendere, far colazione e partire per il rientro a Tam. Si scende velocemente, il percorso è molto meglio da questo versante, e dopo meno di un’ora ci si scorda già del tormento del giorno passato. Facciamo tappa alla guelta di Afilal, incontrando una comitiva di francesi che in 24 giorni compiranno il percorso Tam-Djanet a piedi passando per questa montagne, e alle 13 siamo a Tam. È venerdì e arriviamo nel giorno di festa e nell’ora della preghiera, la città sembra disabitata ma fortunatamente il ristorante è aperto e ci facciamo il primo vero pranzo di tutto il viaggio con ogni specialità che ci possano servire, soprattutto carne visto che ne siamo a secco da tanto tempo e qui hanno una super griglia. Poi tappa al camping 4x4 dove negoziamo un prezzo per usare la doccia di cui si ha un bisogno molto forte, e infine giro per Tam, partendo dal mercato centrale (che però è made in China) per finire nelle vie del centro, tutte ben tenute, e dalle case in perfetto ordine. Nei negozi è possibile trovare qualsiasi tipo di souvenir, basta aver tempo, cosa che io non ho, e quindi mi accontento di qualche banale sasso preso nel deserto come ricordo del Sahara, senza poter consigliare nulla di tipico. Tam è molto grande, ma non ha perso il suo aspetto di città del deserto, non ci sono casermoni e le costruzioni rispettano uno stile desertico sia nei colori che nelle pietre utilizzate per realizzare tutto quanto. Andiamo anche al mercato africano, o meglio quello utilizzato dagli abitanti locali per i propri consumi, ma anche qui è tutta Cina, a dimostrazione che non occorre invadere militarmente gli stati per conquistarli. Tam è divisa in due parti dallo uadi dall’omonimo nome, la ripresa del turismo ha portato soldi e ci sono vari ponti per passare da una parte all’altra anche se in questo periodo il fiume è secco e lo si può attraversare senza problemi. Come da accordi ceniamo a casa di Ahmed, l’autista capo, che mette la moglie ai fornelli e ci presenta i due figli, un bimbo di 4 dal nome impronunciabile e la bimba di 2 anni, Sayra. Ma per quanto sia aperto di usi e costumi certe tradizioni permangono, quindi sole le donne possono andare in cucina a parlare con la moglie (e a offrirle una mancia per tutto il disturbo, visto che Ahmed non vuole nulla). Verso le 22:00 è ora di andare in aeroporto, che dista circa 10 km, e poi tempo di commiato con gli autisti che ormai sono diventati parte integrante del gruppo. Per entrare nel piccolo terminal dell’aeroporto occorre passare tutti i bagagli subito nel metal detector, e chi ha fatto un pacchetto con qualche sasso o si è preso un ricordo di sabbia magica del Tassili du Hoggar lo deve lasciare, ma se mettete qualche sasso sparso nello zaino non ci sono problemi. Per le carte di imbarco è un attimo, mentre passare il metal detector per il gate ci son dei problemi perché non funziona. Mentre qualche addetto prova a sistemarlo, si inizia il controllo manuale, poi l’aggeggio riparte e si può far passare i bagagli a mano nel metal detector, chi nel frattempo era nel limbo come il sottoscritto vien spedito al gate senza nessun controllo. Nell’ultimo giorni di jeep percorsi 131 km, per un totale di 2.293.
L'eremo di Padre Charles De Foucauld all'Assekrem, a 2.780 m
17° giorno
L’aereo dell’Air Algeria è in leggero ritardo, scarica le persone provenienti da Algeri e imbarca quelli in partenza per Djanet o Algeri, prima però solito riconoscimento del proprio bagaglio sulla pista, ulteriore controllo per quello a mano (controllo giusto per dire...) e si parte per rientrare con prima stop a Djanet. Ripartiti da Djanet ci viene servita un’ottima colazione e dopo circa 3 ore atterriamo ad Algeri, dove sulle colline circostanti c’è la neve, e il vento e la pioggia che ci accolgono la fanno da padroni. Di nuovo occorre ritirare il bagaglio per andare al terminal internazionale sfruttando al meglio la tettoia che c’è tra i due terminal. Ennesimo passaggio al metal detector, e anche questa volta nessun problema coi sassi sfusi (o forse han visto la banalità di quelli che mi porto io) e fila lunga ma veloce al check-in. L’attesa per l’imbarco è lunga ma al piano superiore i bar aprono tardi (soprattutto quello all’estrema sinistra del terminal) e le comodissime poltrone sono un giaciglio insuperabile. Nuovo passaggio al metal detector per il bagaglio a mano ed espletazione delle procedure di frontiera (velocissime) per entrare nella parte dell’aeroporto destinata ai voli internazionali dove c’è la possibilità di collegarsi a internet, di far colazione all’occidentale e per i fumatori di far scorta di sigarette a prezzi contenuti. È possibile pagare ovunque in euro e ricevere anche il resto, i dinari algerini non potrebbero essere portati fuori dal paese, ma il controllo consiste nella sola domanda se ve ne siano rimasti, vedete voi per la risposta. Il volo per Roma è puntuale, occorre nuovamente riconoscere il bagaglio sulla pista sotto la pioggia e passare un nuovo blandissimo controllo, poi si parte e Air Algeria ripresenta lo stesso cibo dell’andata, immangiabile. Arriviamo a Roma in perfetto orario e la riconsegna dei bagagli, strano ma vero, è immediata. Col primo Leonardo Express arrivo in stazione Termini dove riesco a cambiare il biglietto che avevo preso per la partenza inutilizzato, col primo Freccia Argento destinazione Bologna. La pratica è fattibile con un supplemento ma almeno risparmio di gettarlo. In perfetto orario dopo 2:22’ arrivo a Bologna e da lì a casa, anche se ormai ho compreso che la casa è dove ritieni opportuno fermarti, la lezione impressa a fuoco a tutti coloro che hanno avuto la fortuna di calcare coi propri passi la magnificenza del Tassili du Hoggar e dei suoi luoghi limitrofi è inconfutabile.
2 note di commento
Il viaggio si è svolto tra dicembre 2009 e gennaio 2010, periodo in cui le temperature massime sono ottime mentre le minime, soprattutto nella zona a nord di Tamanrasset, scendono pericolosamente di notte. Tutti i costi di seguito riportati sono da intendersi a persona quando non specificato, ma c’è da dire che c’è ben poco da spendere nel deserto, occorre essere autosufficienti di tutto, fatta eccezione per acqua (sì, se ne trova tanta) e legno per il fuoco. Un € valeva indicativamente 105 dinari algerini, io ho cambiato alcuni euro direttamente all’ufficio cambio dell’aeroporto di Algeri, più conveniente che al mercato nero di Tam (circa 100dz per €). Quando vi dicono un prezzo vien sempre riportato senza l’ultimo zero, considerate da subito questa abitudine perché i conti son ben diversi. Per entrare in Algeria serve il visto, da richiedere all’ambasciata a Roma, inviando passaporto e un modulo scaricabile da loro sito con le info relative al lavoro e i dati anagrafici dei genitori. È possibile telefonare senza nessun problema col cellulare, ma la copertura esiste solo a Tam e Djanet, a volte saltuariamente quando si passa vicino ad alcuni villaggi, ma è bene non farne conto. In città ci sono anche posti internet, ma visti i tempi molto tirati non ho avuto tempo di verificarne la funzionalità, però a Tam la maggior parte degli abitanti ha un’e-mail quindi problemi non se ne dovrebbero incontrare. Tenete conto che fuori dalle città non vi è nulla, quindi nemmeno possibilità di ricaricare batterie di qualsiasi tipo, perciò per macchine e video camere portatevi le scorte necessarie. Il freddo pungente delle notte necessita di un sacco a pelo con confort molto sotto allo zero, poi sull’Assekrem meglio andarci con pile e giacca a vento senza dimenticare guanti e cuffia. Ma occorre soprattutto un paio di occhiali da sole molto protettivi, come prova vedrete gli occhi rovinati di molta gente che si incontra. La lingua ufficiale è l’arabo, ma solitamente gli autisti tra di loro parlano tamaschek, la lingua dei Tuareg, che a Tam è praticamente la lingua ufficiale. Però praticamente tutti parlano francese quindi problemi non esistono, o per chi non lo parla almeno la possibilità di intendere le lettere è garantita. La situazione nella zona da me visitata è di grandissima sicurezza quindi nessun problema legato all’integralismo, si viaggia sereni e i vari controlli non sono mai invasivi. Ogni agenzia (non si può viaggiare soli e occorre appoggiarsi a un’agenzia di Tam/Djanet autorizzata) deve ricevere l’elenco dei partecipanti coi propri dati, tante liste vi verranno rilasciate da fornire ai posti di controllo che si trovano soprattutto nella zona a nord, tra il Tassili N’Ajjer, l’Assekrem ed il Tafedest, mentre nel Tassili du Hoggar non c’è quasi traccia umana e non si viene mai fermati. Tam è piena di agenzie viaggi autorizzate, come Djanet, e sovente si scambiano gli autisti tra di loro. Gli autisti sono la chiave determinante dell’escursione, si è totalmente nelle loro mani e quindi instaurare un buon rapporto è basilare, sono loro che, al di là di quello che uno apprende interessandosi da lontano, consigliano su dove andare e cosa vedere, fungono quindi anche da guide, meccanici, gommisti, raccoglitori di legno, ecc. Noi eravamo in sei (e ci eravamo già documentati a lungo) ci siamo affidati alle loro indicazioni traendone fantastiche visioni nemmeno pensate prima di partire, e anche se si è autonomi per la preparazione delle cene, un interscambio è sempre un valore aggiunto al viaggio. I nomi di posti li troverete riportati in tante maniere diverse, magari si legge una guida o si sente una persona parlare di un certo luogo diverso da quell’altro per finire nello stesso posto. Quindi un po’ di elasticità sulle varie interpretazioni è necessaria, se deriva dall’arabo, dal tamscheck o da quanto gli affibbiarono i francesi fa una grande differenza. In Algeria vige lo stesso orario italiano, quindi nessun futile pretesto di jet-lag può essere avanzato.