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Kashmir e Ladakh - IV

Il diario dei nostri viaggiatori Angelo e Mariangiola
22 Gennaio 2016

 

...segue 

 

10 agosto

Ieri sera e stamani, tragedia delle pile: comprate sbagliate, in fretta e furia in un negozio non erano per macchine fotografiche. Fatto partire un autista a comprarle giuste, se l'è cavata quasi in tempo. La partenza prevista alle 9:30 è slittata solo di 10 minuti. Angelo ha ringraziato il gruppo per la gentilezza ed è finito tutto bene.

Ci dirigiamo, a piedi, verso il vicino monastero di Shankar, e – con le pile buone – posso fotografare il vicolo, i muri degli orti/giardini, un'entrata tradizionale e una moderna, le mucche a spasso, il rio che scorre e rumoreggia, che sentiamo dalla nostra camera da letto.

Il tempio è moderno (inizio XX secolo), ma le pitture sono tradizionalissime e a loro modo divertenti. Non ci capisco ancora niente di tutte le figure mostruose, o di difensori, o di santi, o di allievi del Budda. Intenerisce la foto del bambino futuro Lama. L'atmosfera di questi templi è sempre rilassante.

 

La foto del Lama bambino

 

In macchina ci spostiamo allo Shanti Stupa, lo Stupa della Pace, quello che illumina il panorama delle nostre notti. Sorge su un rilievo che fiancheggia la valle entro cui sorge Leh, e così abbiamo l'occasione di vedere bene la città dall'alto, con i suoi 45/50.000 abitanti. Leh vista di qui dall'altro è come un grande giardino: si vedono svettare i pioppi lungo i muri di crudo o di cubetti di pietra e cemento, tanti spazi verdi di giardino, ma più di orto, e in mezzo, apparentemente non collegati, gli edifici di ville e templi e scuole e alberghi. Vediamo anche un campo da golf, adagiato in un lontano anfiteatro vulcanico. È per i militari.

Lo Shanti Stupa è stato costruito dai buddisti giapponesi, che vogliono uno Stupa della Pace dovunque nel mondo ci siano buddhisti, in India un altro è a New Delhi. Inaugurato dal Dalai Lama nel 1985, è una costruzione moderna, con decorazioni a stampino. Le nostre guide non ci capiscono quando si parla di stile, di modi di esprimere la stessa cosa, ma che variano nel tempo. La discussione nasce - e finisce - quando chiediamo che cosa rende riconoscibile un gompa giapponese da una ladakho o indiano.

Yogesh è molto gentile, e a pranzo ci mostra con orgoglio tutta la sua famiglia. Ora sono in albergo. Angelo fa un pisolino, io scrivo, e alle 15 partiamo per l'ultimo tempio, lo Tsemo Gompa. Costruito molto in alto sulla città, domina sia la parte verde e ricca che vedevamo prima, sia la parte vecchia di case e cortili addossati gli uni sugli altri. Vi saliamo in macchina anche se mi sarebbe piaciuta la mulattiera a gradini che vi conduce.

 

La via principale di Leh

 

Il tempio è del 1555, con affreschi coevi che solo in parte sono conservati integri. Nella parte più visitata sono stati restaurati coi colori sgargianti che piacciono qui. Le statue dei Difensori hanno il volto coperto per non spaventare i fedeli. Oltre il tempo, verso lo Tsemo Fort, salendo ancora su un percorso gradinato e poi su una scaletta a pioli, si arriva al sommo della torre più alta, ormai in disuso e abbandonata, di dove si gode una vista vastissima e un po' mozzafiato dalla verandina molto “aerea”.

Scendiamo a piedi nella città vecchia, tra stupa, mucche e cani in riposo, parlando con un Yogesh ciarliero e gentile: evidentemente è servito il predicozzo di Gianni. Facciamo un giro interessantissimo nella città vecchia tra alberi monumentali, antichi palazzi, forni per il pane, sottopassi anche sotto gli stupa, e arriviamo in “via Roma” come dice Manuela.

Troviamo una libreria da visitare e una gioielleria per due braccialettini di turchiesi per Alice e Adelaide. Bella l'idea di spalare la ghiaia in due. Torniamo verso l'albergo, acquistiamo anche delle divertentissime magliette per i maschietti. Perfino Angelo ne ha presa una! In albergo si cena e poi subito a preparare i bagagli: domani si parte per il passo più alto in assoluto, il Khardong La, a 5602 m!

 

11 agosto

Si parte alle 9, e mentre aspettiamo tutti i preparativi, mi godo ancora tutti i fiori e l'orto nel giardino dell'hotel. Saliamo subito lungo la valle di Leh e la strada - che passa da 3400 a 5600 m in soli 33 km - s'inerpica subito sui fianchi della valle. Non essendoci possibilità di costruire viadotti sospesi, a ogni piccola valle vi si entra dentro, si raggiunge il torrentello che vi scorre, e poi si sale sul lato opposto, fino a raggiungere nuovamente la valle principale.

 

Il monastero di Diskit eretto sul crinale di uno sperone di roccia

 

Ci sono state piogge intense e sono pochi giorni che il passo è aperto. La strada è malconcia, piena di frane che se la stanno portando via, con una quantità incredibile di lavoratori che scavano, spalano, rompono pietre - soprattutto le donne - e ne fanno mucchietti regolari che hanno qualcosa di incomprensibile. Molto traffico, con le solite difficoltà di incrocio, di guado, etc.

Arriviamo al passo Khardong La, si vedono monti innevati, e lontano verso nord-est le prime cime della catena del Karakorum. Facciamo la cosa per farci una foto tutti insieme davanti al cartello del passo, e poi – senza averci pensato su più di tanto – Gianni, Marco e io saliamo ancora di 50/100 metri per arrivare a una piccola pagoda infiocchettata con bella vista sul passo.

Il sentiero è scomodo, si sale su pietroni disconnessi, ci mettiamo un po' più del previsto, e veniamo sonoramente sgridati al rientro. Non si deve rimanere a quota 5600 m per più di 20/25 minuti, noi ci siamo rimasti più di 50 e gli altri ci hanno aspettato. Un po' di tensione tra Angelo e Gianni, che come capogruppo avrebbe dovuto saperlo: era scritto anche sul cartello che però nessuno ha visto.

Si scende nella valle dello Shyok, si passa il villaggio di Khalsar con diverse case distrutte dalle piogge fortissime di una settimana fa e conseguente piena del torrente. Anche il grande fiume a valle è stato come ricoperto da metri di sabbia scesa dalle fiancate. Sono ancora visibili i muretti dei coltivi, ma tutto sotto la sabbia alluvionale. Qui le montagne non hanno nerbo: solo in qualche bellissimo punto sono di roccia - graniti, scisti, rocce rosse e gialle - alle grandi basi sono tutte di sabbia e sassi. La strada è aperta tra materiale che non tiene, si sfalda a ogni pioggia, è un continuo lavoro.

Arriviamo allo sbocco nella grande Nubra Valley, che racchiude due valli e due fiumi: il Nubra e Shyok. Scenari di una grandiosità incredibile. Ci dirigiamo verso il monastero di Diskit, che sorge sicuro su uno sperone di roccia. Si sale e si scende tra le sue stanze affrescate, che risalgono al 1400 e che sono state oggetto di tentativi di studio e restauro. Ormai i vari Budda ci sono un po' più familiari, ma i Custodi e i Difensori sono sempre irriconoscibili.

 

I magnifici scenari della Nubra Valley

 

Ai piedi del monastero, hanno costruito un Budda moderno, nel 2010 e inaugurato nel 2015 dal Dalai Lama. Bruttissimo, con colori sgargianti, ma qui piace così ai fedeli. Un po' sotto, un'altra casa del Dalai Lama, ricca grande, sempre vuota, sempre chiusa, perché viene aperta solo per le sue visite. Andando via, vediamo un grande terreno lungo la strada tutto pieno di piccoli stupa, coronati da una pietruzza bianca: certo opera di milioni di pellegrini.

Ci inoltriamo poi nella Nubra Valley di sinistra, e arriviamo al “campo tendato” di Hunder. Casette singole, un po' spartane, ma con bagno autonomo, tutte intorno a un'area verde, con alberi di albicocche - colte dall'albero e mangiate - e cinture di pioppi alti e stretti. Viene irrigata e temevo le zanzare: in effetti ci sono, ma non pungono. Andiamo a cena alle 8, e alle 9 Angelo e io - sono un po' stanca - torniamo alla nostra casetta e a scrivere. Domani sveglia alle 6:45.

 

continua...

 

Kashmir e Ladakh, di Angelo e Mariangela - I

Kashmir e Ladakh, di Angelo e Mariangela - II

Kashmir e Ladakh, di Angelo e Mariangela - III

 

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