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13° giorno
Con un remis (in pratica un taxi) partiamo alle 7 per raggiungere Salta via Valle Calchaquies, Cachi ed il Parco Nazionale Los Cardones. Non ci sono mezzi pubblici che facciano tutto il percorso, la valle è veramente dimenticata da tutto e non se ne capisce il motivo visto lo spettacolare paesaggio in cui è incastrata. Qui un tempo c’era il mare, l’emergere delle terre che diede vita alle Ande lascia le formazioni in bella vista e quello che si può ammirare lungo il percorso è impressionante. Si incontrano piccoli paesini, Payagostilla, Angostaco, El Carmen, La Arcadia, Molinos e Seclantas, ricordatevi che state percorrendo la più famosa, mitica e impraticabile strada argentina, la Ruta Nacional 40 sogno di ogni vero caminante. Ora ha il chilometro 0 a Ushuaia e il 4950 (più o meno…) a un vago incontro tra Tres Cruces e Abra Pampa nell’estremo nord argentino. Nonostante sia la più famosa strada argentina, è spesso in condizioni impossibili, poche parti sono asfaltate e correndo sempre a ridosso delle Ande oltre a dover sempre essere nel mezzo delle curve presenta tratti a volte impraticabili causa condizione atmosferiche avverse. In uno dei piccoli paesini ci fermiamo a far colazione, gustandoci luoghi dall’integrità ancora intatta. Sullo sfondo, dall’alto dei suoi 5700 m fa bella mostra di sé e dei suoi ghiacciai il Nevado de Cachi. Arrivati nel pueblito più famoso, Cachi, ci ristoriamo in un bar della piazza, prima di ammirare le costruzioni di pietre cotte al sole che riempiono il posto. Da qui si sale verso il Parco Nazionale Los Cardones (è il nome del fusto del cactus candelabro, il più bello e famoso tra i vari tipi di cactus), che regala colori splendidi. Il passo di Pedra del Molino (3348 m) fa da spartiacque verso la Costa del Obispo. Da qui, con una discesa increbile in 41 km si raggiunge la valle a circa 1150 m. La vista dall’alto è inquietante, nel caso di incroci con altri mezzi c’è da aver paura, ma nel cielo vi allieteranno le visioni di condor padroni dei cieli. Il remis ci scarica a Salta presso un hostal dove si possono avere svariate info su cosa fare e come organizzarsi per l’estremo nord andino. Cena presso un risstorante sulla strada lungo il parco cittadino, poi giro della animatissima zona centrale piena di bar all’aperto, spettacoli e gente allegra.
Sietes Curvas, quasi un miraggio ad alta quota
14° giorno
Con l’agenzia di Raul ci organizziamo per raggiungere un luogo che col pianeta terra ha poco a che fare. L’escusione di due giorni nella Puna argentina (gli altipiani andini) costa sui 550p a testa, se siete in 3 o 4 riuscite a spuntare prezzi migliori. Dico subito che questa era l’unica maniera di raggiungere tali luoghi, il percorso non è semplice e una guida è obbligatoria. Visto che il famoso Tren a Las Nubes non marcia più da quasi tre anni, evitate di pensare a questa opzione, anche se la troverete esposta in tutte le agenzie di Salta che sono numerose. Il viaggio in auto costeggia spesso quel percorso, e vedere i numerosi viadotti di ferro è cosa comune. L’asfalto ben presto cede il cammino allo sterrato e velocemente si inizia a salire. Prima sosta a Santa Rosa de Tastil per un caffè e per andare a vedere le rovine di una fortificazione preincaica su di una collina che domina la valle. Si raggiunge poi S. Antonio de los Cobre (dove facciamo provviste per il pranzo), luogo di miniere dove un tempo fermava il treno e da qui in poi inizia più che un viaggio un’avventura della mente. Velocemente si sale al Passo Abra del Gallo (4630 m), dove i sintomi dell’altura possono colpire. Qui il vento è forte, e anche per una veloce foto si può passare dal caldo del sole al freddo intenso, ma gli scenari iniziano a farsi paradisiaci. Scendiamo verso il Salar de Pastas Grande (dove ci fermiamo per il picnic) e poi riprendiamo per il Salar de Pocitos, luogo di incontro tra treno e ben 2 strade differenti per raggiungere il confine con il Cile. Il treno da carico ci dicono che dovrebbe ancora girare una o due volte alla settimana ma viste le condizioni dei binari siamo tentati di non crederci. Per accedere al Cile la strada che prendiamo noi non è aperta ai viandanti se non su richiesta specifica. I dintorni del passo di Socompa, in seguito agli scontri legati al Canale di Beagle durante la Guerra delle Falkland/Malvinas, fu minato da parte dei cileni e visto dove si trova non è ancora stato bonificato. Faccio presente che da S. Antonio non abbiamo più incontrato nessuno per oltre un giorno di viaggio. La strada quando non passa nel mezzo dei vari salares attraversa a volte sabbie difficilmente affrontabili da chi non abbia molta esperienza con questo tipo di terreno. Arriviamo poi in un luogo marziano chiamata Sietes Curvas. Descriverlo è impossibile, immaginate un’enorme valle rossa ripiena di montagne tondeggianti e rosse a loro volta che danno l’impressione di ingoiarvi. All’aprirsi della valle lo sguardo vaga perduto incapace di focalizzare qualsiasi cosa (stesso problema che si verifica alla macchina fotografica...). Passato questo luogo che pare frutto di immaginazione o di un acido, arriviamo alle montagne di velluto dove è più facile incontrare vicunas (che sono specie protette, se ne uccidete una vi prendete 5 anni di gabbia) che a Bologna gatti e cani, passando per il Salar del Diablo. Oltre a queste si incontrano con facilità le volpi del deserto, oltre a infiniti uccellacci che pare non aspettino altro che la vostra carcassa da spolpare. Dopo tutto questo arriviamo nel pueblito di Tolar Grande, centro mineiro dotato di tutto, compreso un complesso sportivo inviadiabile. Presi accordi per la notte presso una casa del posto per la cena serale, continuiamo per il Salar de Arizaro. Ci sono altri 80 km di pessima strada per arrivare a una delle cose più incredibili che si possano vedere. All’interno di un grande salar, lungo oltre 200 km e largo più di 30, attorniato da montagne di oltre 6000 m si erge imperioso un perfetto cono di oltre 150 m. Questa incredibile ed attualmente inspiegata formazione rocciosa è il Cono de Arita, e quando il sole splende la visione è indicibilmente favolosa. Se non fosse per Raul che richiama l’attenzione all’orario saremmo ancora là come due che hanno perso la ragione e non fanno altro che scattare foto. C’è da dire che quassù le condizioni del tempo variano velocemente e il passare di nuvole regala colori sempre differenti. Visione assoluta, conturbante e quasi disturbante per quel suo racchiudere bellezza, perfezione e lontananza, visibile da quasi 50 km di distanza e associabile a un miraggio (qui chiamato Fata Morgana). Rientriamo col buio al Refujio de Tolar Grande Afapuna, costituito da due grandi stanzoni da 20 persone cadauno, uno per donne e l’altro per uomini dotato di ogni comfort, in primis quello di svariate coperte. A oltre 3500 m, oggi senza riscaldamento, faranno comodo. Siamo la sola presenza, all’interno c’è il libro dei viandanti e noterete che ben difficilmente, mineiros a parte, ci sono più di 3/4 viandanti a settimana. Ma colpisce leggere che una coppia italiana ci abbia passato il Natale in luna di miele. Cena presso la casa di una signora allertata per tempo che ci preparara milanesa con ensalada. Posso dormire tranquillo, ho sognato tutto il giorno…
Il Cono de Arita nel Salar de Arizaro
15° giorno
Se Tolar Grande ci era apparsa in un luogo fatato, Raul non ci aveva ancora portato all’interno del salar de Tolar Grande. Qui emergono svariati ojos (grandi spaccature della crosta salata da dove sbuca l’acqua) che provocano colorazioni favolose e danno vita a forme di cristalli impensabili. Fare giochi con la macchina fotografica è qualcosa di irrinunciabile, piccolle torri di 5 centrimetri si trasformeranno in grattacieli da big town, insomma libero sfogo alle fantasia e vi sentirete Alice nel paese delle meraviglie. Rientriamo col percorso del giorno precedente passando dal Salar de Pocitos osservandolo al suo meglio, visto che il giorno prima avevamo preso una piccola bufera proprio qui nel mezzo. A Pocitos prendiamo la via esterna verso il Salar de Cauchari sempre costeggiano un numero impressionante di vicunas e lama. Si incrocia la via per il Paso de Sico, aperto al traffico in direzione cilena anche se la strada è in ripio. Da qui ci inerpichiamo verso El Viaducto. Se c’è un’immagine del nord andino che viene sempre riproposta è quella del Viadotto della Polvorilla, un immane ponte lungo 224 m e alto 64, a un'altitudine di 4200 m. Opera tra l’assurdo e l’insensato, fu costruita in Italia e poi installata in mezzo alle Ande. Si narra che il primo treno che passò fece scendere il livello del ponte di oltre un metro, e fra i costruttori di questa pioneristica ferrovia ci fu il maresciallo Tito, quando di Jugoslavia ancora non parlava. Il treno serviva a portare le ingenti quantità di materia prima verso il porto cileno di Antofagasta molto più vicino che la capitale Buenos Aires. Da là le merci potevano raggiungere comodamente l’Europa attraverso il canale di Panama e anche l’Asia senza dover circumnavigare l’ostico Capo Horn e senza dover passare per il conteso Canale di Beagle. Ripercorriamo il cammino fino a rientrare di nuovo a Salta via Quebrada del Rio Toro, dopo aver percorso in due giorni oltre 900 km di cui solo 150 su asfalto. Abbiamo fatto una sfacchinata, inutile nasconderlo, ma si può dire che luoghi simili siano unici, quindi a questo punto qualsiasi fatica ne vale la pena. Arriviamo a Salta con solo la voglia di mangiare qualcosa in uno dei pochissimi ristoranti aperti. Oggi è l’ultimo dell’anno, qui si cena in casa e poi si sparano fuochi per lungo tempo. Ma noi siamo già cotti e a letto, tempo per divertirci ne avremo quando i luoghi della terra saranno meno interessanti.
Salar de Pocitos
continua...