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17° giorno
Colazione al solito (unico) bar della piazza dove a fianco del solo piatto proposto (uova) completiamo la colazione con le poche cose ancora rimaste. Si continua la visita alle chiese rupestri del Tigrai dividendoci in due gruppi. I più temerari, o meglio i più preparati, affronteranno la chiesa Abuna Yemata Guh che prevede un passaggio nel vuoto assai insidioso (e come tale ci viene confermato al ritorno dai nostri eroi), mentre con un altro gruppo andiamo alla Abuna Gebre Mikael. Le jeep ci lasciano presso un villaggio con tanto di scuola e campo sportivo, forse uno dei complessi migliori visti fuori Addis Abeba, poi senza la solita calca abituale nei paraggi delle chiese rupestri prendiamo un pianoro che costeggia un terrazzamento dove molta gente lavora per adattare la montagna ad uso agricolo. Ogni persona che spacca pietre per costruire i terrazzamenti riceve dal governo locale 3 kg di grano al giorno, e visti quanti sono (ma non quanto lavorano) di grano ne dovrà uscire parecchio. Quando inizia l’ascesa è praticamente una parete verticale dove cercare un appoggio di fortuna, superato il primo pezzo di una cinquantina di metri le difficoltà sembrano terminate, ma sull’ultima erta si trova il passaggio peggiore, che con l’aiuto delle guide riusciamo a sopravanzare. Dal piano dove sorge la chiesa la vista è bella, mentre il frontale della chiesa assai deludente, pare una baracca abbandonata. Fortunatamente dopo nemmeno cinque minuti arriva il sacerdote con le chiavi e dopo una lunga trattativa ci lascia entrare. Quello che maggiormente colpisce è la realizzazione della chiesa, ottenuta levando pietra, un assaggio di quello che ci aspetterà a Lalibela. Scendere è l’impresa più ardua, ma fortunatamente tutto va per il meglio. Rientriamo a Megab per uno spuntino veloce in un bar del posto (luogo senza nome) e poi riprendiamo la strada in direzione Wukro fermandoci alla chiesa rupestre di Abraha Atsbeha nell’omonimo villaggio. Si raggiunge a piedi dal vicino parcheggio, non necessita quindi di particolari ascese, è molto più grande delle altre e dobbiamo attendere almeno 30’ per entrare perché il sacerdote sta pranzando. Questa, a differenza delle altre, non è completamente scavata, vi è stata collocata una parte frontale all’esterno, e si impara che questa variazione sul tema è opera italiana. Un dono non richiesto e che non ci sta per nulla con la particolarità di queste costruzioni. Ultima visita è per una chiesa del gruppo di Wukro, Chirkos, che si trova lungo la statale principale poco prima di Wukro. Ci si arriva praticamente in jeep, ed onestamente si potrebbe evitare senza perdere nulla di interessante. Ora è tempo di procedere spediti per la meta finale della giornata, Mekele, che in Italia ci sarà chi si ostina a chiamare Macallè. Ci arriviamo sul calar del sole, notando che ai distributori di benzina ci sono code interminabili e mentre fa buio nessuna luce elettrica dà segno di accendersi. In effetti mentre facciamo tappa ad un meraviglioso (per i miei standard) hotel, dotato più che di camere di miniappartamenti, ci viene confermato che non c’è energia elettrica e mancano i rifornimenti di benzina in ritardo da Gibuti. Visto che l’hotel si trova fuori dal centro e che gli autisti optano per mettersi in coda ai rifornimenti in modo da essere sicuri di partire l’indomani, non ci rimane che cenare in hotel per finire a giocare a carte, mentre dopo le 22:00 la luce si ripresenta.
La chiesa rupestre di Abuna Gebre Mikael
18° giorno
Colazione in hotel, velocemente partiamo vedendo Mekele dall’alto attorniata da una coltre nebbiosa, ci aspettano molti chilometri e una volta lasciata la statale la strada potrebbe essere pessima. La strada sale e scende, toccando passi ad oltre 3000 metri e dopo Maychew si apre il grande e intenso blu cobalto lago Ashengy. Qui, come in quasi tutti i luoghi fuori città, appena ci si ferma si è invasi di bambini che corrono da lontanissimo alla ricerca di biro o di qualsiasi cosa gli si possa dare, le urla son sempre “give me”, “pen”, oppure un generico “faranji” che in amharico significa straniero. Qui sugli altipiani, a differenza della Dancalia, la presenza dei bambini è impressionante per numero e per costanza di richieste, ma tutte le guide ci han sempre detto di non dare nulla perché rappresenterebbe la peggior maniera di formarli che ci sia. In effetti quando si entra nelle città, o anche paesi, e si incontrano bambini che escono da scuola la cosa non si presenta mai, nessuna richiesta, solo la voglia di provare a parlare coi faranji dal momento che la lingua inglese viene insegnata nelle scuole. Ed in effetti a Korem siam finiti nel mezzo della strada ad interrogare i bambini usciti da scuola proprio sui compiti di inglese. In questo caso, ovviamente tanti bambini, ma estremamente rispettosi e timidi sulle nostre interrogazioni. Pranzo presso un hotel, poi lasciamo la statale per addentrarci verso Lalibela. L’asfalto termina, ma nella prima parte il percorso non è nemmeno male, solito problema quello della tanta polvere. Lungo la strada si notano alcuni villaggi stile “Obelix”, costruzioni tonde di terra essicata ricoperte da tetti spioventi di erbe e foglie compatte, uno stile fino ad ora mai visto in Etiopia. Prima che il sole ci saluti arriviamo a Lalibela, la città santa degli etiopi di religione copta, la Petra d’Africa. Già, questa città costruita tra il 1137 ed il 1279 d.c. in un luogo remoto non è stata edificata alzando palazzi verso il cielo, ma scavando nella roccia ed ottenendo le dieci chiese del centro, più quella di San Giorgio al di fuori, per sottrazione. Ma non come a Petra per sottrazione scavando in orizzontale, qui avvenne in verticale, così che non solo le chiese son costruite nella roccia e staccate da essa, ma anche i passaggi, le grotte, le cripte e tutto quanto. Noi arrivamo il giorno in cui si festeggia il Natale copto, la città (per modo di dire, in pratica un villaggio di montagna dove non c’è quasi nulla) è stracolma di gente e troviamo da dormire solo presso un’hotel: purtroppo costa una follia, ed anche dopo ore di contrattazione non riusciamo a scendere che di pochi birr, molto probabilmente fuori dalle giornate di festa i prezzi saranno completamente diversi. L’assurdo è che non hanno un posto per gli autisti delle jeep (che poi lavorano per loro…) che così devono dormire nei mezzi o nelle nostre tende che gli lasciamo per star più comodi. Come non bastasse, in hotel (ma anche in tutta la città) non c’è energia elettrica e nemmeno acqua, ma quella fortunatamente dopo una lunga attesa arriva. Cena in hotel, posto bello ma caro e dopo si va alla scoperta della città nel suo momento di massimo fulgore. Riuscire ad entrare è un’impresa eroica, pare che tutto il mondo questa notte sia qui, ovunque genti avvolte nella propria tunica bianca gettate in ogni dove, per terra, sui gradini ma anche sulle stesse chiese, tutti in attesa della celebraziona che avverrà la mattina seguente alle ore 5:00 (nostre, non loro). Ladri all’opera, ci hanno avvertito mille volte, occorre muoversi con pochissime cose, ma dopo aver provato a visitare qualche posto dobbiamo tornarcene sui nostri passi, è tutto esaurito ovunque, pare strano ma in questo luogo che sembra fuori dal tempo c’è anche un maxischermo per quelli che non riescono ad entrare nelle chiese. Comunque tra le chiese illuminate da mille candele e la forte atmosfera generale lo spettacolo è comunque molto intenso, ma dopo averlo appreso in prima persona me ne torno a dormire contento di esserci stato, ma molto più contento di non dover passare la nottata qui nel mezzo di questo infernale girone dantesco. Una domanda però mi sorge, ma come fanno ad avere sempre le tuniche bianche perfette stando riversi per terra, io mi sporco costantemente anche senza buttarmi a terra!
Sacerdoti a Lalibela
19° giorno
Il momento clou per i fedeli è alle 5:00 del mattino con la celebrazione del Natale, così per evitare di imbattermi in situazioni non propriamente di mio gusto mi alzo con comodo alle 8:00, faccio colazione in uno dei baretti fuori dal centro storico sfruttando i biscotti che Mario aveva recuperato chissà dove, e mi ritrovo per il giro con guida solo alle 9:30. Avere una guida è fondamentale per apprezzare al meglio non solo le chiese ma anche i passaggi del dedalo di gallerie che collega ogni angolo del luogo. Occorre avere un biglietto valido per tutte le chiese che si compra in biglietteria nei paraggi del gruppo di chiese occidentale, e mentre mi appresto alla scoperta del luogo devo fendere la folla che se ne sta uscendo dopo le innumerevoli cerimonie della mattina. Lo spettacolo è impressionante, la guida ci porta in ogni dove, chiese e passaggi regalano emozioni e visioni che sembrano impossibili. Le chiese son veramente ottenute per sottrazione della roccia dal terreno, ed anche al loro interno tutto è stato lavorato in questa funzione. Visto il periodo son piene di sacerdoti in funzione per i tantissimi fedeli. Fortunatamente non esistono problemi per fotografare, ma è consigliato non usare il flash (ma chi lo utilizzerebbe sulle moderne reflex quando si possono ottenere immagini splendide senza!) perché danneggia la roccia. Unico aspetto negativo è quello che le protezioni superiori limitano le viste (le rocce sottoposte alle intemperie hanno iniziato a cedere, così da quando Lalibela è diventata sito UNESCO hanno inalzato enormi tetti di protezione al di sopra di molte chiese), ma a parte questo è possibile andare ovunque e godersi le viste sia dall’interno delle chiese che dalle pareti al di sopra di queste. La zona del gruppo settentrionale è costituito da chiese di maggior grandezza, ed è il gruppo che ci aspetta di mattina. Non si può entrare con le scarpe, ma assieme alla guida si affitta anche un guardiascarpe che ce le fa ritrovare all’uscita. Il nostro è un agricoltore che parla un ottimo inglese e che vive in una fattoria a 30 km da Lalibela, ovviamente percorre a piedi questa distanza in circa quattro ore. Poco da dire sulle chiese e sul loro contesto, tutto splendido. Pranziamo in un luogo senza nome vicino all’entrata principale e poi è tempo per il gruppo orientale. Queste sono più piccole ma più lavorate, ovviamente lo spettacolo è anche qui incredibile, e le file per entrare in alcune di queste lunghe, ci si imbatte in prediche/cori festanti allegri e colorati mentre ci dirigiamo verso la chiesa più importante e fuori dal centro storico. Bet Giyorgis fu scavata per ultima, leggenda dice che fu San Giorgio a scendere col suo cavallo alato a chiedere una chiesa per sé a Re Lalibela e che per costruirla intervennero gli angeli, ma potete visitarla anche senza credere a queste facili mitologie. Questa è la chiesa più famosa, quella che è sovrastata da una enorme croce di 15 metri, in pratica la larghezza dell’intera chiesa, opera perfetta e stupefacente, con pareti a strapiombo ai suoi lati ed un lungo e strettissimo camminamento per arrivarci. Finito il tour guidato impossibile non fare un giro a caso nel dedalo della città uscendo da una chiesa per entrare in una galleria e così via, nel mezzo di pellegrini di bianco vestiti e genti locali in visita con abiti multicolori. Per quanto riguarda la visione delle chiese, il mio parere pone al primo posto Bet Gabriel-Rafael, mentre fantastiche sono le porte di Bet Medhane Alem fatte a forma di chiave. Finito questo spettacolo provo a recuperare qualche souvenir, qui qualche cosa si trova, ma a parte le solite croci copte di Lalibela c’è solo paccottiglia e t-shirt imbarazzanti. Ovviamente nessuna presenza di linea telefonica per collegarsi ad internet, e per chi fosse dipendente da cellulare nessun segnale nemmeno per quello. Cena in un ristorante con ottimi piatti di pasta seguiti da carni locali in una commistione di ottimo gusto. Una nota a margine, vista la calca impressionante occorre prestare massima attenzione ad ogni cosa, i ladri all’opera sono molto in gamba, e tutto viene aperto con una facilità impressionante anche perché molti tragitti vengono percorsi ammassati gli uni contro gli altri. Zaini sul fronte, tasche vuote e nessuna cosa in eventuali marsupi, mentre nessun problema per macchine fotografiche o videocamere, quelle sono troppo ingombranti per essere “prelevate”.
Sacerdote copto
20° giorno
Colazione abbondante prima di partire per un lungo trasferimento verso Addis, in pratica fine del viaggio di esplorazione. Lungo il percorso, perché di strada non si può parlare, son previste lunghe comitive di pellegrini rientranti verso il sud del paese, così ci vien consigliato di prendere un sentiero praticabile solo con 4x4. Non è facile avanzare, in alcuni posti non c’è né percorso né sentiero, si chiedono indicazioni ai contadini, ma fortunatamente dopo poco più di cinque ore e 110km arriviamo a Woldia dove compare ogni tanto uno strato di asfalto. La cittadina pare appartenere almeno a due secoli fa, ci sono taxi a cavallo e poco altro, se non qualche negozio (a Lalibela praticamente non se ne vedono, se non baracche che vendono un po’ di frutta e qualche bevanda) che però vende un po’ di tutto. Tappa per rifocillarci in un hotel con bagni impraticabili (ma un splendido giardini per i bisogni) ma con acqua utile a lavarsi viso e mani completamente sommersi dalla polvere raccolta lungo il percorso. Da Woldia si segue verso sud la statale principale, ma l’asfalto sovente manca. Lungo la strada si incontra di tutto, camion, corriere, animali, persone che rientrano a casa dopo essere state al mercato e bambini che escono da scuola. Nonostante la via sia migliore di quella precedente non è che si possa viaggiare molto forte, così in prossimità di Dessie (un'iperpolverosa cittadina) il buio si fa già largo. Noi dobbiamo raggiungere la più tranquilla Kombolcha, ma scendendo dal solito altissimo passo a una jeep cede la batteria, anche l’alternatore ha problemi e nel buio non è il massimo continuare così dobbiamo spostare armi e bagagli sulle altre jeep, arrivando molto tardi. Alloggiamo in un albergo con acqua calda solo nelle camere sul lato destro e i soliti letti strettissimi e ceniamo in un altro dove, arrivando tardi, non è rimasto quasi nulla e bisogna accontentarsi di quello che c'è. Al ritorno all’hotel anche la jeep rimasta bloccata è arrivata a destinazione, usando i pezzi di una funzionante. Qui non si butta mai via nulla e tutto serve per tutti.
Preti etiopi
21° giorno
Colazione in una grande pasticceria come non se ne erano mai viste fino ad ora e partenza immediata per Addis Abeba. Oggi giornata di solo trasferimento, ed una jeep inizia subito ad accusare problemi mentre saliamo ad una passo a 3.100 m quando mancano 150 km dalla capitale e la strada è tutta asfaltata. Sosta nel paese di Debre Berhan per pranzo presso un hotel. In paese ci sono tanti lavori lungo la strada e ci viene segnalato che da qui a Addis spesso sarà così. In effetti le segnalazioni corrispondo al vero: i cinesi stanno riassestando la statale e costringono a lunghe digressioni nella campagna o a tratti a senso alternato che rendono lentissima la marcia. Poco prima di arrivare a Addis, sosta presso un posto dove genti del luogo vendono bricchi per il caffè e pentolini per preparare lo shiro (i prezzi si trattano tramite gli autisti visto che la gente non ha idea di nessuna lingua né dei prezzi, mediamente 10b a pezzo, tutti di terracotta e l’impresa maggiore sarà portarli a casa intatti). Presso queste famiglie osservo che la battitura del grano avviene ancora con le bestie, una cosa da noi dimenticata da generazioni. Entriamo in città quando il buio diventa padrone del posto ma abbiamo ancora un po’ di tempo per farci una “vasca” nella zona della Piazza, lungo l’unica via scintillante di negozi, Hallesilasse st. Imperano i negozi di oro ed argento per le immancabili croci copte, ma si trovano anche ottimi bar che vendono il loro fantastico caffè, a cui non si può proprio rinunciare dopo averlo assaggiato a lungo. Mediamente 250 gr. costano 8-10b, la qualità provata al rientro è favolosa. Dal centro ci dirigiamo per l’ultima cena in terra etiope in un ristorante splendido e dalle ottime e abbondanti porzioni. Solo cibi locali, se proprio siete allo stremo consideratelo un ultimo sforzo, per chi come me alla fine non ha disprezzato la cucina etiope un ultimo contatto di altissimo livello. Ultimo atto, destinazione aereoporto, percorrendo una parte della Haile Gebreselassie Rd., dedicata all’eroe nazionale e vincitore di più ori alle olimpiadi e ai campionati del mondo nelle corse di lunga durata, unica annotazione Haile è vivo e vegeto! Di sera ad Addis occorre vestirsi pesante anche ora, la temperatura notturna precipita velocemente.
22° giorno
I controlli all’aereoporto sono velocissimi, va riempita una carta per l’uscita (ma non viene praticamente guardata) e una volta all’interno c’è la possibilità di cambiare i birr rimasti sia in euro che in dollari, mentre l’ufficio cambi nella zona prima dei check-in chiude prima di mezzanotte. L’aereo per Il Cairo è puntuale, l’attesa di quello per Roma non particolarmente lunga anche se il gate giusto di partenza rimane un rebus fino a pochi minuti prima dell’imbarco. Arrivo a Roma addirittura in anticipo, non ho nemmeno il tempo di andare dal gate al ritiro bagagli che il mio zaino è già sul nastro, un’efficienza che pensavo impossibile. Prendo al volo il Leonardo Express e compro un biglietto ferroviario per Bologna sul primo treno in partenza che si rivela uno dei nuovi ad alta velocità che però ad alta velocità ancora non funziona e impiega 2 ore 45 minuti. Arrivo a Bologna in un momento di grande freddo, provo a coprirmi con tutto quanto possibile nello zaino ma mi pare comunque che qualcosa non vada, come se il fuoco della Dancalia fosse diventato lo standard ed il gelo dell’inverno bolognese dovesse ghiacciarmi all’istante. Già iniziano i rimpianti ed i confronti in negativo, passando sopra a acqua introvabile, cibi in scatola, letti di roccia e amenità simili. Eh già, il viaggio è un mondo tutto suo e a confronto col mondo di tutti i giorni ne esce sempre vincente.
Etiopia: Dancalia e Rotta Storica - I
Etiopia: Dancalia e Rotta Storica - II
Etiopia: Dancalia e Rotta Storica - III