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12° giorno
Solita colazione da campo (ma sempre abbondante ed iperenergetica), poi raccolti tutti i bagagli si parte per lasciare la Dancalia e salire verso gli altipiani. Non esiste una strada, s'improvvisa qualcosa lungo il greto di un fiume, in pratica all’interno di un grande canyon. In un punto incui rimane un po’ di acqua, gli autisti quasi in esaltazione ne approfittano per lavare le jeep e soprattutto per togliere il sale dalle parti meccaniche. Poi iniziando la salita il percorso si fa difficile, più volte occorre scendere a spostare grandi pietre per aprirsi un varco dove passare ed anche cambiare le tante gomme che si bucano. In linea d’aria Dallol-Berahile saranno 70km, ma occorrono almeno 6 ore per arrivarci. Qui ci si riabitua a vedere case (di fango, certo, ma pur sempre case) e gente, tanta gente e tanti bambini ovunque si guardi. C’è possibilità di pranzare in un pseudo ristorante, ma come commiato il nostro cuoco ci lascia un ottimo riso al tonno che ha la meglio sulle specialità del posto. Però qui ritroviamo finalmente bibite e birre fresche, cosa che avevamo a lungo dimenticato. Berahile è a 700 metri, occorre ancora salire e molto, fortunatamente il percorso migliora anche se di asfalto non c’è traccia. Lungo la strada incontriamo i primi mercati locali dove ovviamente si fa sosta e dove iniziamo a vedere in vendita il sale arrivato dalla Dancalia. Simpatici i fornellini creati dalle latte d’olio con la scritta U.S.A. recuperate dai lanci di materiale a sostentamento umanitario di qualche anno prima, ma molte sono le mercanzie per noi curiose ed interessanti, come i coperchi copri-injera. Moltitudini di genti portano qui le loro cose, la strada diventa quindi un luogo animato, non si incontrano mai auto ma è piena di dromedari, muli, mucche, pecore, cani, capre e bambini che o cercano disperatamente bottiglie vuote o biro. Dopo 135 km arriviamo a Wukro (2.200 m.s.l.m.) dove ci congediamo dalla scorta armata, dal cuoco e dalla jeep di supporto per il materiale da campo, temperatura ottima fino a quando il sole non cala, primo incontro con l’asfalto e ricerca di un luogo per dormire. Ci si divide in 2 gruppi, io faccio tappa in una pensione dove la luce elettrica c’è solo dalle 3 alle 6 di sera etiopi (21-24), l’acqua calda non è prevista ed il bagno fa rimpiangere i larghi spazi della Dancalia. Per il nostro calendario sarebbe l’ultimo giorno del 2008, ma non per il calendario etiope, così ogni proposito di festa è da rimandare. Troviamo da cenare presso un ristorante locale ma si mangia quello che può venir cucinato senza ausilio di energia elettrica perché non arriva negli orari previsti. Così, al buio totale ed al freddo (5° di notte e per chi arriva da 40° costanti sembra pure inverno…), senza un posto dove andare ci ritiriamo tutti a dormire quando l’orario direbbe 21:45. Comunque buon anno.
La salita con le corde a Debre Damo
13° giorno
Colazione al ristorante (intanto era tornata di notte l’energia elettrica), poi via verso nord destinazione Axum. Si passa da Negash, la città santa dei musulmani etiopi, poi si intravedono alcuni paesi di cui rimangono solo macerie, luoghi dove il DERG di Menghistu colpì duramente. La strada, bella sia come fondo che come paesaggi, è sempre un percorso da ostacoli, dove l’unica presenza limitatissima è costituita dalle auto. Prima di arrivare ad Adigrat ci imbattimo in esercitazioni militari con carri armati che sparano colpi verso una montagna vicina, mentre noi circoliamo lungo la strada, simpatico! A Adrigat prendiamo la via verso l’Eritrea per andare al monastero di Debre Damo, il più importante dell’Etiopia. Lungo percorso fuoristrada, senza problemi di percorrenza ma che ci costringe a mangiare un mucchio di polvere. Il monastero si trova al di sopra di un'amba (come vengono chiamate le montagne che sorgono nel mezzo degli altipiani di forma pari, senza picchi, quasi una scatola di scarpe nel mezzo del nulla), solo gli uomini possono accedervi e stessa situazione è riservata agli animali (no mucche, sì tori, eccezione per le galline con la scusa che chi ha ali può andare ovunque…). Al termine di una ripida ascesa si ci trova una parete verticale di 15 metri di salita, per accedere occorre farsi legare ad una corda con un monaco a turno che vi tirerà su. Visto il mio interesse per la questione religiosa evito di farmi trasportare come sacco di patate impiccato e faccio un giro attorno all'amba, facendomi poi raccontare la visita dagli amici. Rientrati sulla statale per Axum, altra deviazione breve per Yeha. Qui sorge un tempio collocabile tra il VIII ed il VI a.c. ed è ancora in ballo la questione se da qui provenga la cultura sabea o se qui arrivarono i sabei. Per chi come me non è mai stato in Yemen, non c’è modo per cogliere le similitudini costruttive, altri invece ne intravvedono le influenze. L’ingresso, dove fa bella mostra di sé una signora che pare più anziana della costruzione, permette l’accesso a più strutture, compreso un museo all’interno del quale si può osservare una collezione di manoscritti che all’occorenza un sacerdote potrà cantare nelle tre lingue che si successero in questo luogo. In un lungo giorno di trasferimento la visita di Yeha merita un sosta, anche se all’arrivo alle rovine verrete presi d’assalto dalla popolazione del piccolo villaggio, che non vedendo praticamente mai nessuno vi considererà una delle rare fonti di reddito facile facile, anche se oltre a qualche sasso non hanno nulla da offrire. Sul calare del sole iniziamo a rimirare le famose montagne che attorniano Adua (e in cui nel 1896 le truppe italiche incapparono in una sonora sconfitta nei confronti dell’esercito di Menelik), dove una volta arrivati ci accorgiamo che termina l’asfalto. Il cammino fino a Axum diventa così un inferno notturno, non si vede nulla tra illuminazione inesistente e polvere ovunque, e l’arrivo è per noi un sospiro di sollievo dopo aver rischiato schianti di ogni tipo lungo la strada. Pernotto in ottime camere con doccie dall’acqua calda e non contigentata (prima vera doccia dalla sera a Awash, dove ricordo una doccia ottima ma fredda). Ceniamo all’hotel per questioni di tempo, dove si possono assaggiare piatti locali (vanno molto i vari wat), ma serve una pazienza infinita nell’attesa. Ci sarebbe anche l’uso di internet, ma la linea pare sempre congestionata.
Le steli di Axum
14° giorno
Colazione in hotel, poi si compra la carta per l’accesso a quasi tutti i monumenti di Axum. Ci accompagna nella visita una guida veramente brava, coinvolgente e capace di parlare un inglese per tutti, cosa importante per la visita di Axum perché il luogo è più una rappresentanza di quello che fu la civiltà axumita che quello ad oggi visibile. Primo stop ai bagni della regina di Saba, utilizzati oggi dalle genti locali per lavari i panni, poi si sale ad un punto panoramico che fa da sfondo alle tombe dei re Kaleb e Gebre Meskel. Le tombe sono raggiungibili con scale ancora in ottimo stato, al di sotto di palazzi dei quali poco è rimasto, importante nel visitarle è saperne prima la storia (è per questo che la guida diventa fondamentale). Scendendo dalla collina dove si può ammirare uno splendido paesaggio sulle montagne di Adua si incontra l’iscrizione di re Ezana poi stop al Parco delle Steli, ovviamente il complesso a noi più noto per via della celeberrima e discussa stele di Roma (quella razziata e poi restituita). Ora la stele è stata riposizionata nel suo luogo originale, ma veniamo a sapere che non era stata ricollocata per cattiva volontà o negligenza, ma solo perché il rimetterla nel suo luogo andava a danneggiare tante altre opere non ancora estratte (si dice che solo il 2% delle antiche rovine axumite sia ad oggi visibile, il resto rimane conservato sotto terra). Nel parco si osserva anche la stele più alta la mondo, ma a causa della sua enorme mole non rimase eretta per più di un secondo. Nel Parco delle Steli settentrionale c’è anche un museo che percorre la storia della civiltà axumita (in amharico ed inglese), che permette di addentrarsi con maggior interesse in questo mondo. Uscendo dalla città si arriva al Dingur, il palazzo della regina di Saba. Non aspettatevi granché, sono rimaste solo le rovine, ammirabili da una terrazza sopraelevata al bordo nord dell’insediamento. La mattina è già volata e ci aspetta un ottimo pranzo. Il pomeriggio (temperatura sui 25°, l’altitudine di oltre 2000 m aiuta parecchio) è dedicato alla chiesa di Santa Maria di Sion (un prezzo esorbitante per gli etiopi), un complesso che comprende l’antica chiesa, il museo, la nuova orribile chiesa e la famosa cappella che contiene l’Arca dell’Alleanza. La chiesa nuova potrebbe anche essere scambiata per un magazzino, evitabilissima, il museo è più interessante ma è un susseguirsi di croci copte a non finire, mentre le parti restanti sono accessibili solo dagli uomini. Ovviamente l’Arca dell’Alleanza non è visitabile (anche perché la ragione dice che sarebbe vuota), un guardiano la protegge nottetempo (ma se fosse per il povero vecchio incaricato non sarebbe un problema entrare), mentre merita molto di più la vecchia chiesa. Alla fine della visita rimane tempo per girarsi la Axum non monumentale, una vivace cittadina con negozi, bar e tanti giovani usciti dalle scuole ad animarla. Qui si possono trovare oggetti locali, tante ovviamente le croci copte ed in generale i prezzi sono contenuti. Come nella serata precedente, i tanti posti con scritte di internet point si rivelano non funzionanti, ma almeno qui l’energia elettrica è sempre presente ed anche i distributori di benzina sono funzionanti. Ceniamo al ristorante che ci viene caldamente consigliato, ma che si rivela poca cosa. Finalmente è possibile uscire la sera, c’è tanta gente ovunque, ed anche la temperatura serale non scende troppo (basta una felpa). Considerazione finale su Axum: se vi aspettate mirabolanti rovine evitate la visita, qui ora si può ammirare il mito che Axum rappresentò e niente altro, quello visibile al di là delle stele e ben poca cosa, mentre la sua storia è ben differente.
Un fedele copto, vestito di bianco
15° giorno
Colazione in hotel poi riprendiamo la via verso sud, in pratica inizia il percorso di ritorno. Mentre passiamo da Adua facciamo sosta al cippo che ricorda i caduti italiani della battaglia di Adua del 1896, che giustamente si trova in un posto nascosto, cippo che nulla significa per la popolazione etiope attuale, nelle vicinanze del Caffè della Battaglia dal nome attuale ancora in italiano. Sosta ad Enticcio in un animatissimo mercato, dove si trova ancora il sale, ma si trovano anche personaggi che portano qui la loro macchina da cucire per aggiustare i capi che le genti non possono più utilizzare. Sosta ad Adigrat, dove dal bar nella piazza centrale ci si fa un bello spaccato delle genti locali. Come quasi ovunque negli altipiani la popolazione è copta, ma l’arrivare dell'Islam è notabile a vista, come le differenze comportamentali. Colpisce come gli islamici girino con facilità armati, quasi che senza mitra non si possa scendere in strada. In un angolo della piazza centrale sorge un piccolo supermarket fornito di tutto, e tutto sistemato in coreografica maniera, confezioni di ananas che nutrono e dissetano in ottimo modo, a fianco di sfiziosità come patatine fritte e cioccolate di ogni tipo. Qui si può notare come la differenza tra la grande città ed il resto del paese sia enorme (cioccolate di vari tipi, patatine fritte, caramelle, ma dove siamo capitati?). Arrivati a Sinkata sempre lungo la statale asfaltata, prendiamo una scalcagnata deviazione in mezzo alle case dove le jeep passano a malapena per arrivare a Hawsien, un polveroso villaggio che ci servirà da base per le visite alle chiese rupestri del Tigrai. Troviamo alloggio presso un hotel che offre stanze enormi con letti piccolissimi, un unico bagno ed un unico lavandino per tutto l’hotel e una unica doccia fredda, non sempre disponibile. Qui nulla da fare in paese, così andiamo a visitare il Gheralta Lodge, splendido luogo dove una notte costa come tutte le notti che io passo in Etiopia, ma costruito con gusto cercando di non essere per nulla invasivo nel confronto della natura circostante. Qui ceniamo, ovviamente non nel ristorante riservato a chi vi soggiorna, ma in un'altra sala che ci mette a disposizione un ottimo e abbondante buffet, oltre a poter usufruire di splendidi servizi igienici che il nostro hotel si sogna.
Il gruppo montuoso del Gheralta
16° giorno
Colazione nel bar della piazza (dove al centro sorge una stele), e vista la pochezza di alimenti compensiamo con gli avanzi delle nostre scorte. Poi via a cercare le celebri chiese rupestri del Tigrai, quelle definite del gruppo di Gheralta. La particolarità di queste chiese non sta tanto nella loro architettura o valenza religiosa, quanto nei luoghi impervi dove vennero scavate, una maniera di isolarsi che diventa ora motivo per camminate giornaliere. Prima tappa per andare alla Maryam Korkor dalle parti del villaggio di Megab. Oggi è giornata festiva, alla partenza del sentiero che si inerpica sulla montagna troviamo una infinità di bambini che vogliono farci da guida. La disputa diventa talmente pesante che lungo la ripidissima e sassosa asperità la situazione tende a degenerare, così lascio il gruppone formatosi per dirigermi verso luoghi più tranquilli. I miei amici mi riferiranno di un'ascesa dura ma non troppo pericolosa, di una vista spettacolare e di una chiesa interessante ma di certo non imperdibile, molto meglio il percorso per andarci e la vista. Nel frattempo io mi giro la valle a ferro di cavallo fino al termine dell'amba, per rientrare presso un'abitazione dove una famiglia sta passando la giornata festiva. Mi offrono da bere acqua prelevata da un tino di dubbia pulizia ed un'injera alta e nera, un qualcosa di raccappriciante alla sola vista che mi trovo costretto a rifiutare. A Megab presso un bar pranziamo e ci gustiamo la cerimonia del caffè, per andare alla chiesa rupestre di Debre Tsion Abraham dove si ripete la stessa scena dello sciame di bambini. Anche questa volta ne approfitto per un giro alternativo dell'amba, da dove si vedono vari aspetti della zona, in primo piano il lavoro di agricoltura che salva sovente l’Etiopia dalla situazione terribile di altri paesi africani. La vita qui è certamente durissima, ma la possibilità di coltivare gli altipiani offre ad una buona parte della popolazione la possibilità di aver cibo nutriente, il problema nasce nelle annate di siccità o inondazioni, non così impossibili a verificarsi. La chiesa mi viene descritta interessante, l’ascesa più breve ma più dura di quella della mattinata ma la vista meno imperiosa. È già ora di rientrare a Hawsien dove pernottiamo in un altro posto rispetto alla sera precedente, che costa uguale ma che offre il bagno in camera (con acqua calda che ad oltre 2.000nmetri non fa schifo) e che ci permette così di stringere sui tempi e trovare ancora un posto per rifocillarci (solito problema di energia elettrica che arriva molto dopo il calar della luce). Cena come il giorno precedente al Gheralta Lodge, unico luogo ancora aperto dopo le 20:00, con buffett ricco ed abbondante e differente dal giorno prima.
continua...
Etiopia: Dancalia e Rotta Storica - I
Etiopia: Dancalia e Rotta Storica - II