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17 – A spasso tra le fronde
Colazione nella stessa pasticceria di due giorni prima e ancora una volta la pasta che scelgo è un mattone. Giornata un po’ interlocutoria: eccitato dall’aver raggiunto i Matis e poi annebbiato dalla sete, ieri non ho avuto la presenza mentale di pensare che se avessi voluto prendere un Rapido avrei dovuto prenotarlo per tempo. Trovo dove vendono i biglietti e prenoto per il giorno seguente: scenderò a Pevas, un villaggio a circa due terzi del tragitto tra Leticia e Iquitos, dove vivono delle comunità Bora e Huitoto meno turisticizzate di quelle che vivono a ridosso di Iquitos. Ne ho discusso con Hector e mi ha consigliato in quale villaggio recarmi e, come al solito, di chi chiedere. Il “mi manda Picone” pare un’usanza amazzonica consolidata, anche se poi non ho praticamente mai trovato chi cercavo ma non per questo non sono riuscito ad ottenere quello che cercavo. Ora so che le soste intermedie sono perfettamente lecite anche con una fast boat, non c’è bisogno di prendere una slow boat: l’unico inconveniente è che il prezzo è sempre lo stesso del tragitto completo.
Faccio un salto al solito internet point per controllare la ricettività di Pevas e cosa fare nel tempo che mi rimane da spendere a Leticia. A Pevas non sono segnalate sistemazioni tranne un hospedaje gestito da suore. L’unica alternativa parrebbe il chiedere l’ospitalità a Francisco Grippa, un famoso pittore locale sempre disponibile ad ospitare chi passa dal suo atelier. Le cose da fare a Leticia e dintorni sono le classiche escursioni amazzoniche ma ormai quello che mi interessava fare l’ho già fatto, e mi torna in mente il suggerimento dell’americano di provare il canopy walking che si può fare alla Reserva Tanimboca che è a pochi chilometri dalla città. Ricordo di esserci passato davanti quando col mototaxi stavo andando verso Nazareth.
Trovo un mototaxi, guidato dal simpatico Pablo, e mi faccio portare in quella direzione quando scorgo sulla strada un’insegna Reserva Tanimboca: sono gli uffici. Fermo Pablo, entro, mi informo sulle varie escursioni offerte e scelgo il canopy walking, mi pare l’unica vera novità. Mentre pago e mi faccio rilasciare il voucher, noto che nell’altra stanza c’è una foto di un anziano Matis e non posso fare a meno di approfondire l’argomento. No, non organizzano spedizioni presso di loro, è solo una foto che hanno trovato e l’hanno messa a scopo pubblicitario.
Pablo, dopo aver chiesto un paio di pause a scopo fotografico, mi consegna alla reception della Reserva. Attraverso uno stupendo sentiero nella giungla di un chilometro circa - anche se si vede che questa è una struttura per turisti visto che il sentiero è costellato di pezzi di tronchi che impediscono di infangarsi - vengo portato alla base del canopy walking. Sono l’unico e quindi i due addetti si dedicheranno solo a me. Mi consigliano di darmi il repellente, anzi, me ne chiedono un po’, mi imbragano, mi danno dei guanti, si tengono loro la macchina fotografica per immortalarmi mentre salgo e mi insegnano come salire, alternando mano destra e mano sinistra, guadagnando circa mezzo metro ad ogni manovra.
Il fitto della foresta amazzonica - Archivio Fotografico Pianeta Gaia
È una fatica boia, e non basta lo stupendo scenario che s’incomincia a vedere dall’alto per darmi sollievo, almeno fino a quando invece di seguire pedissequamente gli insegnamenti decido di scopiazzare i gesti di uno dei due addetti che sale molto più veloce di me: in pratica invece di raddrizzare le gambe per posizionare la sinistra in alto, cosa che sollecita parecchio la schiena, faccio le due operazioni in contemporanea. Così facendo la seconda parte della salita è decisamente meno faticosa e più veloce, riesco a compiere anche 4/5 manovre prima di fermarmi a tirare il fiato. Ovviamente non c’è paragone con i due istruttori: il più veloce dei due dice che il suo miglior tempo di risalita dei 36 metri a cui è collocata la prima piattaforma è di 45 secondi, l’altro dice di impiegare un paio di minuti. Io invece impiego quella che mi pare un’era geologica - ma vado piano apposta, per dare tempo all’istruttore di fotografarmi… -, anche se dall’orologio sembrano essere passati solo una ventina di minuti.
Giunto sulla prima piattaforma posso finalmente godermi lo spettacolo senza spenzolare da una corda e scattare qualche foto dall’alto. Molto attenti, uno sempre davanti a me e uno sempre dietro, gli istruttori mi sganciano dai cavi di risalita e mi agganciano a quelli del cavo che mi farà fare il primo “volo”: una ventina di metri da una piattaforma ad un'altra. Mi fanno sedere sul ciglio della piattaforma, mi chiedono se sono pronto e io rispondo un sì di inerzia, contano fino a tre e mi lancio, con un piccolo brivido.
Giunto sulla seconda piattaforma, soliti sganciamenti e riagganci, mi preparo per il secondo volo, decisamente più lungo – stavolta saranno 50/60 metri - e in discesa ma l’istruttore mi rassicura che la velocità è controllata e non supera i 50 km/h. Da questa piattaforma devo partire arrampicandomi su dei rami e lanciarsi nel vuoto da in piedi fa parecchio più effetto che da seduto, anche se poi una volta in volo tutto pare solo bello, divertente e non pericoloso. Ovviamente l’istruttore davanti a me, deputato a scattarmi le foto in volo, non si accorge di essere al limite della memoria della card e mi riprende solo da lontanissimo e non c’è modo di recuperare il momento perduto perché è l’ultima stazione. Si scende - stavolta impiegando pochi secondi - e mi tolgo le imbragature.
Gli istruttori tornano alla reception e io li seguo, fermandomi ogni tanto per delle foto, in particolare ad una capanna costruita ad una dozzina di metri di altezza per offrire una sistemazione notturna di fascino. Così facendo rimango indietro, non di proposito, e quando passo a fianco del rettilario, per visitare il quale avrei dovuto pagare un sovrapprezzo, ne approfitto bassamente. Vi sono gabbie in vetro delle dimensioni di un acquario per i serpenti più piccoli, gabbie in rete di un paio di metri per i già più inquietanti pitoni e una grande pozza recintata per l’anaconda, che però rimane invisibile.
Torno alla reception proprio mentre Pablo sta arrivando. Visto che domani tornerò in Perù, sulla via del ritorno mi faccio portare all’aeroporto per il timbro di uscita dalla Colombia ma non me lo fanno perché, andando in Brasile non avevo fatto quello di uscita, e quindi ora non avrebbe più senso. Vado al porto di Leticia e prendo una barca che mi porta sull’altro lato del Rio della Amazzoni: anche se Leticia è ben altra cosa, dormirò a Santa Rosa, visto che il Rapido di domani parte addirittura alle 3:00. La scelta nelle sistemazioni è molto più ridotta: il primo che visito è un tre stelle ma la doccia manca del “telefono”, mi sistemo in un altro, più economico. Le solite formalità non vengono effettuate su un classico registro con tutte le colonne che specificano la voce da completare, ma su un ben più generico quaderno a quadretti. Quasi per scusarsi di questo, la padrona dice che le hanno rubato - usa proprio questo termine - il registro. Andiamo bene.
In volo sopra gli alberi - Archivio Fotografico Pianeta Gaia
Non mi rimane che attendere e visto che Santa Rosa non è certo vivace come la sua dirimpettaia colombiana, mi piazzo in un ristorante costruito a palafitta, che ha una lunga veranda sostenuta da alti alcuni metri che termina in una terrazza che ora da su un prato che mi immagino nel pieno della stagione delle piogge veda il Rio delle Amazzoni arrivare a lambirlo. Ordino cecina con tacacho, in pratica una specie di fetta di prosciutto crudo cotta alla griglia con un paio di polpette di platano fritte, il tutto innaffiato da una birra gelata.
Anche stavolta un cane mi adocchia e si piazza vicino al mio tavolo. Anche questo ne beneficia ampiamente, pur restando rispettosamente a debita distanza. Quando la carne è finita gli tiro un po’ di tacacho ma non gradisce la variazione sul menù e, silenzioso come è arrivato, se ne va. Poco dopo, mentre butto giù questi appunti e mi godo il fresco della veranda, le giovani ma già procaci cameriere cominciano a sbaraccare: impilano sedie e tavoli di plastica dopo aver spento la televisione che, sintonizzata su un canale musicale, faceva ballare quattro locali e ne teneva almeno il doppio incollati allo schermo.
Come a Colonia Angamos tutto pare fermarsi nel tardo pomeriggio per far posto alla partitella, stavolta di volley. Sfrattato dalla terrazza torno al hostal, dove la padrona guarda inebetita un programma televisivo pomeridiano strappalacrime, non così diverso da quelli che popolano i nostri palinsesti.
Solo che qui la sensazione che sia tutto finto è ancora più smaccata, senza ritegno, a suo modo più coerente: si racconta la storia di una ragazzina “rapita” da due finti assistenti sociali che poi la costringono a chiedere l’elemosina, e sono presenti la mamma distrutta dal dolore, la bambina che viene intervistata e perfino i due cattivi, palesemente attori di secondo rango, che stanno in studio a subirsi gli improperi del pubblico che è sempre a un passo dal venire alle vie di fatto. Poi c’è un vecchietto 80enne che piange disperato perché la sua figliola 12enne - arzillo! - è sparita da casa da tre mesi e viene ritrovata in diretta con tanto di abbraccio commovente. Si chiude in bellezza con un sosia di Michael Jackson, al cui collo si gettano decine e decine di ragazzine urlanti.
Come un pentagramma - Archivio Fotografico Pianeta Gaia
Passeggiata serale, mentre il buio sta velocemente inondando le strade. Vi sono tre addetti che si spostano da un lampione all’altro: uno di loro vi si arrampica agilmente con delle corde per effettuare quelle che paiono delle riparazioni, visto che il buio è ormai assoluto e i lampioni non fanno il loro dovere. Pure le abitazioni sono al buio, se si eccettuano un paio di locali e una pseudo-discoteca con tanto di giochi di luce stroboscopici. Temo di aver fatto male i conti pensando di farmi una doccia rinfrescante prima di andarmi a letto quando invece la luce appare e la strada riprende vita. Rientrato al hostal per la doccia, il fatto che ci sia una sola manopola mi comunica in anticipo la temperatura dell’acqua. Vado a letto presto pensando a come svegliarmi domattina perché non ho la sveglia.
continua...