Tutti sanno della Via della Seta, ma non molti sono a conoscenza dell'esistenza di un'altra importante rotta commerciale, la cosiddetta Via del Té e dei Cavalli, impropriamente detta anche Via della Seta meridionale. Pianeta Gaia vi ci porterà con questo tour in partenza a metà febbraio prossimo.
Nata circa un migliaio di anni fa, la direttrice principale era una rete di percorsi portava il tè del tipo Pu'er, prodotto nell'omonima contea dello Yunnan, e del tipo Yacha, coltivato nella provincia del Sichuan, fino a Lhasa in Tibet e poi oltre, fino in India, Nepal e Birmania. In cambio dal Tibet venivano inviati in Cina i forti puledri locali, necessari per dotare l'esercito cinese che doveva difendersi dalle sempre minacciose tribù mongole. Anche altre merci, come zucchero e sale, venivano commercializzate, ma le più importanti erano senza dubbio quelle che davano il nome alla rotta.
Come per la Via della Seta, divenne un importante ponte culturale, il solo che permettesse un certo tipo di interazione e scambio fra i due giganti della regione: Cina e India. Secondo le mappe dell'epoca, il percorso più settentrionale (quello del Sichuan) era di circa 2350 km e prevedeva 56 stazioni, 51 guadi, 15 ponti di corda, 10 ponti di ferro e attraversava 78 montagne di oltre 3000 metri. Se la difficoltà della Via della Seta era quella di attraversare territori in gran parte desertici, la Via del Té e dei Cavalli era invece famosa per gli accidentati sentieri di montagna e le basse temperature che si incontravano a quelle quote. Era senza dubbio una delle rotte più difficili del mondo, in una regione dal clima decisamente mutevole: nello stesso giorno si poteva passare dal sole cocente a tempeste di neve, da pioggie torrenziali a banditi con pochi scrupoli.
I robusti cavalli tibetani, ambita merce di scambio dai cinesi
Il tè, benché non possa crescere nelle alte terre tibetane, è da secoli un elemento insostituibile della dieta dei popoli himalayani, la cui alimentazione è basata quasi esclusivamente sulla carne e latte di yak, non essendo il territorio che abitano in grado di consentire nessun tipo di coltivazione agricola. Servito assieme al burro di yak e sale in una brodaglia piuttosto oleosa che ha ben poco del té come lo conosciamo noi, serve per assumere quelle sostanze che non potrebbero trovare in nessun altro alimento a loro accessibile, oltre ad essere una graditissima bevanda calda in una terra molto fredda. Grossi fruitori della bevanda sono i monaci, a cui la teina serve per rimanere svegli durante le interminabili meditazioni a basse temperature. Si calcola che i tibetani bevando l'equivalente di 30/35 litri di tè al giorno!
In compenso i piccoli ma resistenti cavalli tibetani, perfettamente adattati a correre ad alte quote dove l'ossigeno scarseggia, erano bramati per la loro resistenza. Secondo un tariffario del 1074 dell'Agenzia del té e dei Cavalli del Sichuan, per un cavallo occorrevano 60 chili di tè pressato in pani. Nel periodo di commercio più intenso viaggiavano, all'anno, circa una tonnellata di pani di tè in una direzione in cambio di 25.000 cavalli che facevano il tragitto inverso. Il tè commerciato col tibet non era quello più pregiato e delicato, ottenuto dalle foglie più nuove e piccole e ricercato dai raffinati cultori della bevanda, ma quello delle foglie più grandi e financo gli steli e i rami delle varietà sopra citate che davano un prodotto più rozzo e amaro, ma meno costoso e preparabile, con l'aggiunta dell'acqua di riso, in panetti facilmente trasportabili.
Trasportatori di pani di tè
La Cina è un paese dove la combinazione fra numerosa popolazione e grande spirito imprenditoriale ha portato spesso alla nascita delle professioni più disparate. Una di queste era costituita dai portatori di té, uomini che portavano i panetti dagli impianti di produzione alle stazioni da cui partivano le carovane di muli e yak destinate al Tibet. Uomini e donne, essendo pagati a peso (1 kg di riso per ogni kg di tè trasportato), portavano carichi incredibili, di solito tra i 70 e 90 chili, con punte di 130 chili per i più robusti, come autentiche formiche umane. Con ai piedi semplici sandali di paglia, percorrevano i 187 kilometri che separano Ya'an da Kanding, su sentieri spesso scivolosi e con l'ossigeno che si diradava col crescere dell'altitudine, in circa venti giorni. Giorni durissimi, durante i quali si partiva all'alba e si camminava poggiandosi su due bastoni a T, fermandosi, come da tradizione, ogni sette passi per una breve sosta, giusto il tempo di battere tre volte i bastoni sul terreno, prima di ripartire. Più di uno perse la vita precipitando nei burroni o, vestito di stracci o poco più, sorpreso da tormente di neve.
Ora di questa antica via rimane poco, essendo stata difatto sostituita da una strada asfaltata costruita durante il periodo comunista, ma la produzione del té continua in modi non molto diverso da allora, in un paese dove l'agricoltura intensiva è poco praticata e i contadini spesso ancora legati ai vecchi sistemi agricoli. Su questo argomento e su queste terre il National Geographic ha pubblicato un approfondito articolo nel maggio del 2010 e il fotografo Michael Yamashita ha pubblicato un libro di stupende immagini dal titolo "Shangri-la, suggestioni tibetane lungo la via del tè", da cui sono tratte le foto che corredano questo pezzo.