I Konso sono un popolo di circa 200.000 alacri agricoltori appartenente al gruppo linguistico cuscitico orientale e che popola un territorio piuttosto piccolo (meno di 1000 km2) e generalmente elevato nell'Etiopia Sud Occidentale. Sostengono di aver sempre abitato lin questa zona e alcuni studi ritengono possano essere in tale zona da qualcosa come 5000 anni, come sarebbe dimostrato da alcuni aspetti e tecniche agricole tipiche dell'età della pietra tutt'ora in uso. Sono sempre stati parecchio isolati dalle altre etnie dell'area, continuando a dissodare e lavorare i terreni in un'area prevalentemente versata verso l'allevamento e difendendo strenuamente il proprio territorio. Gli unici con i quali hanno storicamente interagito sono i Borana, dai quali ottenevano sale e cauri. Divisi in 9 clan ognuno col proprio capo, che poi eleggono un Re, i Konso sono conosciuti come abilissimi coltivatori e lavoratori instancabili, al punto che il governo etiope favorisce il loro spostamento in aree poco sfruttate dal punto di vista agricolo, generando più di una gelosia negli altri popoli. Caratteristico del loro metodo di coltivazione di un territorio non pianeggiante è il terrazzamento, non praticato da altri popoli in Etiopia. I prodotti principali sono mais e sorgo, utlizzati per l'alimentazione mentre il cotone e il caffè vengono utilizzati soprattutto per essere scambiati o venduti. Hanno anche animali come pecore e capre che però vengono tenuti in ovili, o sorvegliati durante il pascolo, per evitare ch danneggino le colture.
Un olahita e una donna Konso che trasposta delle canne - Archivio Fotografico Pianeta Gaia
Anche i villaggi che abitano hanno poco in comune con quelli dei popoli vicini: abitano in capanne costruite le une vicino alle altre in una trentina di villaggi che si inerpicano sulle colline e sono circondati da muri a secco, alti fino a 4 metri, che gli hanno meritato il soprannome di "città di pietra". Questi villaggi sono amministrati da un consiglio di anziani e amministrativamente suddivisi in ulteriori settori. Sono suddivisi da un numero variabile di mura concentriche, fino ad un massimo di 8, di altezza decrescente man mano che ci si allontana dal centro del villaggio, e hanno un limitato numero di entrate, per motivi difensivi. In ogni città ci sono uno o più mora, edifici pubblici con una piattaforma rialzata sotto ad un grande tetto spiovente dove la gente prende l'ombra, socializza ma è anche luogo di riunioni cittadine per le decisioni più importanti e dove viene data ospitalità a chi provenie da fuori. In tempi di guerra tutti i ragazzi maggiori di 12 anni erano tenuti a dormire qui, in modo da essere pronti nel minor breve tempo possibile ad entrare in azione. Ogni villaggio-città ha una o più piazze principali nella quale viene eretto un olahita o Palo delle Generazioni, una specie di totem al quale ogni 18 anni viene aggiunto un tronco. Quando un olahita è costituito da troppi tronchi, mediamente una decina/dozzina, si ricomincia costruendone un altro in un altro punto del villaggio-città: grazie a questi è possibile risalire all'età dei singoli insediamenti, con i più vecchi che hanno circa 500 anni. In queste piazze c'è sempre una pietra sferica che agli occhi degli ignari visitatori spesso pare un pallone da calcio abbandonato. In realtà è un test: chi non riesce a sollevarla sopra la propria testa viene ritenuto non ancora pronto per sposarsi. Ho provato a sollevarla e posso testimoniare che, non essendovi riuscito, il test funziona alla perfezione... Lo status sociale è spesso determinato dall'età, con i più anziani i più alti in grado. I Konso si sposano verso i quindici anni e, per quanto non sia espressamente vietato, cercano di evitare l'endogamia. I non cristiani possono avere tre o quattro mogli, nel caso in cui abbiano la possibilità economica di mantenerle, ma nella quasi totalità dei casi gli uomini hanno una sola moglie. Adottano una società di stile patrilineare e il patrimonio può essere ereditato solo dai maschi. Gli artigiani formano una classe a sé stante, ritenuta di status inferiore rispetto agli agricoltori.
Un waka nel cimitero reale - Archivio Fotografico Pianeta Gaia
Il fatto di dedicarsi ad attività stanziali come l'agricoltura e non nomadiche come la pastorizia ha fatto sì che i Konso siano l'unico popolo di questa parte di Etiopia ad avere una significativa tradizione nella scultura, limitandosi gli altri popoli del bacino del fiume Omo a produrre poggiatesta, monili e decorazioni corporee di vario genere. Produc(eva)no i waka, statue a figura intera, a volte anche a dimensioni naturali benché di norma più piccole, posizionate sulla tomba di monarchi o "eroi", qualifica quest'ultima che si poteva ottenere per meriti militari o per aver ucciso un animale pericoloso. Vi sono anche statue femminili. Nel dicembre 2009, grazie all'interessamento di un ambasciatore francese, è stato inaugurato nel capoluogo un museo dedicato a queste sculture, dopo che al sopracitato transalpino erano state mostrate le oltre 200 statue che la polizia locale aveva recuperato dal 1996 in poi dai trafugatori che cercavano di piazzarle sul mercato del collezionismo occidentale. Poiché secondo la tradizione Konso una volta che la statua veniva rimossa (o marciva) non si poteva sostituirla (perché "si può morire una volta sola"), le statue erano da allora rimaste accatastate in un magazzino della polizia di Karat Konso, in attesa di trovare una collocazione. S'è quindi costruito un museo nello stile dei pietrosi villaggi-città Konso dove alloggiarle, grazie anche a fondi messi a disposizione dal citato ambasciatore. Il Re dei Konso si è detto contento di questa iniziativa, utile a preservare una tradizione che, causa i furti e la mancanza di occasioni (guerre o animali feroci da uccidere) stava rischiando di scomparire.