17° giorno
Oggi vogliamo visitare un villaggio Borana e scattare qualche foto, operazione che si rivela fin da subito poco semplice. I Borana, benché vivano in zone molto meno frequentate rispetto a quelle a ovest di Konso, si dimostrano ben poco concilianti e pretendono di essere pagati più del doppio. A nulla valgono le classiche "finte partenze" che di solito generano un abbassamento delle richieste: non mollano. Dopo aver visitato 3 villaggi col medesimo esito negativo, al quarto riusciamo a scendere a più miti consigli ma i soggetti paiono ugualmente poco amichevoli: senza arrivare agli eccessi dei Nyangatom, i Borana sono un popolo fiero e anche in questo caso, l'asprezza del territorio che abitano, pare influire sul carattere. Non dimentichiamo che siamo al limite con la regione dell'Ogaden dove i separatisti non accettano ancora il risultato della guerra con la quale, nel '77/'78, l'Etiopia portò via alla Somalia questo territorio nel centro del Corno d'Africa, e continuano a ritenere questa terra, che loro chiama Ogadenia, uno stato indipendente occupato dall'Etiopia.
Da Yabello viriamo decisamente verso nord, stiamo per coprire la parte finale del grande percorso circolare che terminerà dove è iniziato, ad Addis Ababa. Su mia richiesta non passiamo da Yirga Alem e Shashemene ma da Arba Minch. Dopo alcune ore di una pista decisamente meglio tenuta di quelle già conosciute ma che non ci risparmia un'altra foratura, vengo depositato al Paradise Lodge di Arba Minch mentre i miei compagni di viaggio sono dislocati in una sistemazione meno lussuosa. Questo trattamento privilegiato (e la separazione dai miei compagni) non richiesto continua ogni volta a lasciarmi un po' interdetto ma stavolta non posso proprio lamentarmi: il lodge è scenograficamente dislocato su una falesia dalla quale si gode uno spettacolare panorama sul boscoso "ponte naturale" che separa due dei grandi laghi della Rift Valley, il lago Abyata e il lago Chamo, unendo i due lati del Nechisar National Park che non visitiamo.
Maternità Borana - Archivio Fotografico Pianeta Gaia
Il piatto forte di Arba Minch sono i villaggi Dorze, costruiti in cima a montagne a oltre 2500 msl che si raggiungono con una ripida strada asfaltata di circa 35 km che sale da meno di 1500 sml (altezza di Arba Minch), un popolo che ha ormai abbandonato gli abiti tradizionali ma ugualmente assai interessante. Notevoli sono le abitazioni, appena costruite alte fino a 12 metri, ricoperte con foglie dell'enset o falso banano coltivate tutt'attorno, uno dei protagonisti dell'economia di questa zona del paese, dal cui fusto fibroso si ricava una specie di "formaggio" che ci fanno assaggiare. Costruite in modo da ricordare la testa dell'elefante, animale per loro sacro che anticamente popolava la zona, vengono accorciate dalla base man mano che, causa l'opera distruttiva delle termiti, i pilastri vengono danneggiati. Conseguentemente si può dedurre l'età dell'edificio in maniera inversamente proporzionale alla sua altezza. Le capanne nella foto seguente sono di circa 45 anni la più alta e di circa 95 la più bassa, ormai adibita a cucina esterna. Il rivestimento di foglie di banano viene ciclicamente sostituito, circa ogni 3/4 anni. Molto importante nell'economia dei Dorze è anche la tessitura, e attraversando i villaggi è tutto un fiorire di bancarelle con i coloratissimi prodotti di questo tipo di artigianato, principalmente in cotone, che sono i più apprezzati del paese. Un popolo laborioso che da guerrieri quali erano ha saputo trasformarsi in artigiani, agricoltori e commercianti. Intraprendenti anche nel settore del turismo: solo qui vediamo sfruttare l'architettura locale per proporre delle gradevoli sistemazioni ai turisti.
Torniamo ad Arba Minch e tutti insieme ci godiamo, dalla terrazza del Paradise Lodge, lo spettacolo delle nuvole rese infuocate dal sole che si corica. Concludiamo la serata andando a cena in un ristorantino in città specializzato nel pesce, frequentato da locali.
18° giorno
All'alba sono già lì, sulla stessa terrazza ma questa volta in solitaria, a gustarmi i riflessi di luce che il disco solare ascendente irradia sulle acque dei laghi e le lingue di terra che vi si protendono.
Partiamo di buon'ora, ci sono quasi 450 chilometri da percorrere in una giornata che si preannuncia soprattutto di trasferimento. Lasciata la città di Arba Minch nell'ora in cui viene inondata dagli universitari che si recano in facoltà, la pista alterna tratti ben asfaltati a pezzi ancora in ghiaia, dove annoveriamo la terza foratura. Vediamo il lago Abyata da altre angolazioni e attraversiamo le terre abitate dai Wolaita e quelle ben coltivate dagli Hadiya.
Ormai si coglie nell'aria il profumo di Addis Abeba e, capendo il desiderio dei miei compagni di viaggio di riabbracciare i propri cari, non insisto per visitare le località minori che pure ci sarebbero nei paraggi. E poi io, da quel giorno in cui mi hanno rubato passaporto e soldi sto andando in prestito e devo restituire i soldi a chi me li ha generosamente anticipati, sarebbe quindi il caso di tornare ad Addis Abeba in tempo per ottenere qualche soldo. E' così che l'unica sosta la effettuiamo presso il sito archeologico di Tiya, un insieme di 32 steli decorate con spade, palme e figure antropomorfiche erette a scopo funerario, scoperte nel 1980 ed inserita nell'elenco dei Patrimoni dell'Umanità dell'UNESCO. Un sito che è il più rappresentativo fra i circa 160 siti similari in questa zona a sud di Addis Abeba ma i cui studi hanno rivelato ancora poco: pur essendo unanimente definito un sito "preistorico" non c'è, al momento, nessuna evidenza che aiuti a determinare una datazione precisa.
Caratteristica abitazione Dorze - Archivio Fotografico Pianeta Gaia
Rientriati nella capitale, vieniamo presto inghiottiti dal traffico cittadino e in quelle 2/3 ore che utilizziamo per saltare infruttuosamente da un punto all'altro della città per trovare un cash dispenser che funzioni, si fa buio. A cena l'amico perugino non c'è, finalmente ritrova la famiglia e soprattutto può far riposare la caviglia dolorante. Io invece, che ricevo ospitalità per la notte dal mio compaesano, assieme agli altri ceno al ristorante Yod Abyssinia dove si tengono spettacoli di canti e danze tradizionali. Piatto forte ancora l'injera e le sue varienti, che nonostante la buona volontà, non riesco proprio a farmi piacere, troppo acida.
19° giorno
In teoria dovrebbe essere una giornata di mero trasferimento, ma ho ancora alcune cose da fare e poco tempo: passare dall'agenzia a ritirare il passaporto, qualche acquisto tribale in Churchill Road se c'è tempo, ed essere in aeroporto in tempo per il volo che decolla alle 11:00. L'agenzia apre solo alle 9:00 allora prima passo, assieme all'amico romagnolo, in un negozietto che ci consiglia la guida: non sono interessato alle antichità cristiano-copte ma solo a quelle tribali e so che le uniche produzioni di un qualche interesse che posso trovare sono dei poggiatesta. In effetti nel negozietto c'è qualche pezzo interessante, ne scelgo 5 di varie fogge per il quale il prezzo complessivo, dopo brevissima trattativa, cala quel poco per fare cifra tonda: 1500 birr, pari a poco meno di 70 euro. Fermo gli oggetti, corro in agenzia col minibus fornitomi dalla stessa, ritiro passaporto e quegli spiccioli rimasti che mi basteranno per arrivare all'aeroporto ma non so se farò in tempo a ritirare i poggiatesta o se sarà il caso di farmeli spedire. Sono le 9:40 quando parliamo con l'autista del minibus e gli chiedo se pensa di riuscire a portarmi all'aeroporto in tempo pur passando dal negozietto. Dietro promessa di generosa mancia, dice di sì. Allora mi faccio prestare la somma dall'agenzia, che poi restituirò via bonifico assieme a doverosa mancia per tutto lo staff, e ripartiamo a tutto spiano. Il negozietto è abbastanza vicino ma la strada per l'aeroporto è più ostica, causa traffico. Prendendo stradine secondarie e con un paio di manovre che farebbero impallidire un tassista del Cairo, il pilota riesce nell'impresa e mi deposita all'aeroporto alle 10:10, strameritandosi l'extra. Un ultimo abbraccio all'amico lughese e mi imbarco, ormai certo che d'ora in poi sarà tutto in discesa.
Sito archeologico di Tiya - Archivio Fotografico Pianeta Gaia
Giungo in orario a Francoforte e chiamo a casa, finalmente col mio cellulare, per dire che sono in arrivo come previsto, visto che la mia compagna deve venire a prendermi all'atterraggio a Bologna, previsto alle 22:20. Alle 21:00 siamo tutti a sedere con le cinture allacciate e l'aereo è pronto per dirigersi verso la pista, come da tabella di marcia. Eppure non ci muoviamo. Dopo una mezz'oretta cominciano a serpeggiare le prime voci, visto che qualcuno ha telefonato a chi lo sta aspettando all'aeroporto felsineo: da Bologna dicono che fino alle 23:00 non si potrà atterrare, per motivi di manutenzione alla pista. Manutenzione? Al buio pesto? La cosa non mi convince ma né il comandante né le hostess dicono nulla fino quando, poco dopo le 21:30, ci dicono quello che sappiamo già: partiremo alle 22:00 in modo da atterrare poco dopo le 23:00. Di nuovo nessuna parola sui motivi del ritardo. Quando sono le 22:00 il comandante ci avvisa che, contattata la torre di controllo di Bologna, hanno saputo che la chiusura dell'aeroporto è prorogata fino alle 24:00. Decollo rinviato. Alle 23:00 finalmente si decolla ma il comandante ci preannucia che, nel caso nemmeno a quell'ora la pista verrà riaperta, atterreremo altrove. Una volta sopra ai cieli del capoluogo emiliano, il comandante ci comunica che la chiusura è stata prorogata di nuovo, almeno fino all'una. Si va dunque verso Venezia, dove atterriamo poco prima dell'una e tempo mezz'ora, quando a nostra insaputa ormai l'aeroporto Marconi era da poco riaperto, giungono i bus che ci porteranno a destinazione. Il tutto mentre molti hanno dei propri cari ad attenderli per riportarli a casa. Per fortuna, la mia compagna trova tra "quelli che aspettano" un suo conoscente che deve portare a casa qualcuno, gli chiede se può portare a casa anche me e in cambio gli porta a casa la moglie che non vuole aspettare le 4:00 di mattina, orario previsto per il nostro arrivo via pullman. Solo il giorno dopo scoprirò che l'aereo proveniente dalla Grecia contenente un pacco-bomba destinato a Berlusconi è stato fatto atterrare appena 5 minuti prima dell'orario in cui avrebbe dovuto atterrare il mio. Insomma, tutto il viaggio in mezzo a kalashinkov e sguardi truci, ma alla fine il rischio maggiore l'ho corso tra le amate sponde italiche...