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La Mia Cambogia - VI

Diario di viaggio nel piccolo ma intrigante paese indocinese
05 Maggio 2018

 

segue... 

 

21° giorno 

Colazione sulla strada verso il Palazzo Reale, zona di scuole e infatti siamo attorniati da studenti di ogni tipo che intasano le vie coi loro scooter, arriviamo quindi alla visita ai monumenti simbolo della capitale, Palazzo Reale e Pagoda d’Argento. Purtroppo il Palazzo Reale non è visitabile causa impegni ufficiali del re che impongono come sicurezza di chiuderlo sicuramente oggi e anche domani, così decidiamo di visitare ugualmente oggi la pagoda, ovviamente il prezzo rimane intero. Per chi ha visitato il Palazzo Reale di Bangkok e relative pagode dico subito che questa si rivela una delusione, la pagoda pare più un magazzino che altro e il pavimento di piastrelle argentate, da cui il nome, è limitato a uno spicchio all’entrata. L’insieme del complesso con qualche padiglione più interessante di altri tuttavia non si rivela quindi nulla di eccezionale, magari il Palazzo Reale avrebbe cambiato di molto il parere ma non esisteva possibilità e quindi andiamo oltre, rimirando appena fuori il monumento all’amicizia Cambogia/Vietnam che pare una forzatura per nulla amata dalla popolazione e andando a piedi al grande Psar Thmei, mercato generale senza nulla di caratteristico. Sosta sulla st130 per un ice coffee che qui ha molto più senso che a Sen Monorom per arrivare a visitare il Wat Phnom sull’omonima collina. Leggenda narra che qui nacque la città, il wat è decisamente più bello della pagoda d’argento, anche uscendo ci sono varie cose da osservare quindi da non perdere, poi in motoremorque andiamo al Psar Tuol Tom Pong, meglio conosciuto come Mercato Russo, perché i ricchi russi venivano qui a fare acquisti, da non confondere col mercato russei in altra zona della città. Prima di comprare qualcosa in Cambogia meglio far tappa qui dove si trovano scarpe, abbigliamento, borse, zaini, collane ecc.. di qualsiasi marchio che spopola da noi, con prezzi irrisori, questo in una parte del mercato, poi in un’altra ci sono i prodotti imitazione dei marchi noti, simili ma non uguali. Spettacolare la parte dedicata al cibo, soprattutto quella del pesce, direi l’attrattiva più suggestiva della capitale, da qui sempre in motoremorque rientriamo in centro per goderci il tramonto sul Palazzo Reale e sul lungofiume, bazzicando il centro più commerciale posto a ridosso delle poche costruzione di stile coloniale ancora esistenti. Per cena optiamo per un ristorante piccolo e caratteristico, vicino alla guest house, dove mangio un buon amoc, pesce condito da una salsa con latte di cocco, citronella e peperoncino, non male sia la salsa sia il pesce, di fiume ma già pulito dalle numerose lische. Al solito i piccoli ristoranti tendono a chiudere molto presto quindi se si sceglie di cenare in posti del genere invece che in grandi e anonimi ristoranti meglio non avere in testa orari spagnoli, anche nella capitale valgono le regole dei villaggi, unico luogo a parte rimane Siem Reap. La città diviene il solito dormitorio a cielo aperto, cambiamo zona ma non cambia questa abitudine, che esiste anche a ridosso del Palazzo Reale.

 

Il Wat Phnom della capitale cambogiana

 

22° giorno 

Iniziamo la giornata emotivamente più probante del viaggio con un caffè al bar della huets house e con le paste del negozio a fianco, poi a piedi raggiungiamo il Tuol Sleng, il museo del genocidio, conosciuto da tutti come il famigerato S.21, dei quasi 20.000 prigionieri entrati in questo ex liceo durante il “celebre” regime dei khmer rossi solo 7 ne sono usciti vivi, 2 dei quali ancora in vita e presenti per illustrare i loro libri sul dramma perpetuato sulla pelle di una intera popolazione. L’ex liceo, anonimo in luogo anonimo, fu il passaggio obbligato di tutti gli oppositori o presunti tali che dal 17/4/1975 al 7/1/1979 incrociarono le piste dei rivoluzionari di nero vestiti. Il genocidio di un terzo della popolazione cambogiana da parte di loro concittadini è probabilmente il più grande mai accaduto al mondo tra la stessa popolazione e percentualmente tra essa. Cifre reali son difficili da recuperare, indicativamente si può pensare a 2 milioni di morti su 6 milioni di cambogiani dell’epoca, se considerate che molti son caduti dopo tremende torture e quasi mai finiti con un proiettile ma a bastonate, sbattuti contro alberi o per malnutrizione e malattie varie (risparmiavano costosi proiettili o altro, Pol Pot ed i suoi) potete immaginare che unico campo della morte era diventata la Cambogia in quel periodo, totalmente chiusa agli stranieri, primi tra tutti i vietnamiti, un tempo amici e poi i primi nemici. Qui al Tuol Sleng è possibile farsi un’idea di quanto veniva inflitto ai prigionieri, chi fossero i carnefici, come si svolgeva la vita nel periodo nelle città (il traffico era composta più da mucche che da auto) e quello impossibile nelle campagne che furono trasformate in un’unica grande produzione di riso. Furono aboliti il denaro e la posta, il potere che tenevano in mano i pochissimi accoliti di Pol Pot era esercitato nei confronti della popolazione dai bambini, gli unici a non essersi macchiati di errori col sistema precedente ma anche i primi a essere manipolati per infliggere drammatiche punizioni agli stessi genitori. Tra tutto emerge un aspetto particolarissimo del compagno n° 1, Salor Sat, o meglio Pol Pot. Il capo assoluto fino al termine del 1976 non ebbe incarichi ufficiali, di lui ci sono rarissime immagini, il contrario del comune dittatore, probabilmente un aspetto ancora più inquietante della sua personalità. La visita prevede anche un filmato di circa un’ora sulla storia di Bophana, ragazza prigioniera di un campo della morte (i celebri Killing Fields immortalati dal film di Roland Joffè nel 1984) che si innamora di un carceriere. Come vada a finire è prevedibile, il film è proiettato solo alle 10 ed alle 15, dura 60’ , visto che è su DVD non si capisce perché non giri ad ogni ora. Se questa concentrazione di male e incomprensione dell’accaduto (meglio sarebbe una profonda conoscenza di quanto accadde in tutto il sudest asiatico dalla seconda guerra mondiale in avanti) non fosse abbastanza si può scendere ad abissi ancora maggiori con una gita appena fuori città che affrontiamo trattandola con un conducente di motoremorque. I killing fields di Choeung Ek (audio guida in numerose lingue, italiano compreso) si trovano a 15 km a sud di Phnom Penh, non vi è quasi più nulla di quanto si trovava al tempo, a parte le buche riaperte di fosse comuni dove i prigionieri venivano gettati, non sempre morti, dipendeva dalla forza delle bastonate inflitte, per i bambini vi si trova invece un albero ancora insanguinato contro cui venivano battuti. Da questo campo della morte nessuno uscì vivo, è uno dei più grandi degli innumerevoli disseminati su tutto il territorio nazionale, il racconto che accompagna la visita è raccapricciante, lo stupa di nuova costruzione che sorge al centro contiene circa 8.000 teschi ritrovati in zona, luogo che sorge al centro di placide risaie da sempre coltivate. Le due visite associate sono emotivamente molto forti per quanto si vede ed apprende, nel disinteresse totale, forzato o non, del mondo occidentale, per imparare poi come le potenze occidentali finirono per sostenere i khmer rossi, lo spauracchio comunista del sudest asiatico. Già, non furono queste potenze con una guerra di “civiltà” a spazzar via i rivoluzionari campagnoli ma i loro vicini vietnamiti che ne ebbero a sufficienza di ingerenze nella Kampuchea Krom, di uccisioni di connazionali senza giustificazioni ed altre situazioni al limite dell’inimmaginabile, reggendone le sorti per i seguenti 10 anni, mentre al palazzo dell’ONU lo scranno cambogiano veniva ancora occupato da un rappresentate dei khmer rossi, vista l’idiosincrasia degli statunitensi nei confronti dei vietnamiti. Strana la storia, vero? Da questo posto rientriamo verso la città e facciamo tappa per un ristoro vicino al S.21. Da qui a piedi risaliamo verso il centro passando a fianco al Monumento all’Indipendenza (avvenuta nel 1953) e a quella dell’amicizia vietnamita/cambogiana per rilassarci soprattutto mentalmente sul lungofiume. Sempre alla clinica dei ciechi un massaggio articolare che mi riporta alle torture del S.21 e per cena optiamo per una bancarella di fronte a una parrucchiera dove un cuoco mostra di saperci fare con qualsiasi tipo di noodles. Ne testiamo più tipologie, bianchi, gialli, larghi alla thailandese, e tutti risultano deliziosi, difficile indicare il posto, tra il Psar centrale ed il lungofiume. 

 

Il famigerato S21, uno dei luoghi prediletti dai khmer rossi per perpetrare i loro crimini


23° giorno

Caffè al solito bar della guets house che funge anche da agenzia viaggi, dove avevamo già acquistato il biglietto del bus per Kampot, e come cibo ottime paste che un'anziana signora vende passando di tavolino in tavolino direttamente dentro al bar… Il bus parte all’angolo della guest house, quindi questa soluzione si rileva veramente azzeccata, volendo hanno escursioni organizzate per S.21 e Choeung Ek a prezzi bassissimi, viaggio comodo fino alla città che da subito mostra i segni di esser stata un bastione importante per i francesi. Il bus ferma alla rotonda della Total, la via a sud è piena di ottime guest house fornite di tutto, ne scegliamo una che oltre alla solita bella camera mette a disposizione anche un campetto da basket, una piccola palestra, pc per internet, noleggio scooter, biglietteria bus e tour e un giardino per relax, colazioni e cene. Iniziamo a perlustrare la città per organizzare le visite dei giorni seguenti, il clima qui è ben differente che altrove, tutto si svolge a ritmo rallentato, la poca popolazione che si muove nel centro è complementare a un numero di viandanti che percentualmente è maggiore che altrove ma tutta gente da lungo cammino, io col mio mese sono quello più di corsa. Stop per uno spuntino, poi è tempo per vero relax con letture varie sulla terrazza della guest house su ampie poltrone che sanno del tempo andato, forse anche perché da queste parti la maggior parte dei presenti è francese e quella quindi la lingua che si ascolta più a lungo. Dopo una seduta gratuita di internet, raggiungiamo il centro città per cenare, la zona attorno al Psar Leu (in ristrutturazione, il vecchio mercato sta cedendo spazio a moderni negozi) è piena di localini, alcuni anche movimentati, ne scegliamo uno dove mangiamo meglio del solito. I proprietari fanno di tutto, da guide, a noleggio moto, corsi di cucina o di creazione ceste, sarà per questo che son lenti nel servizio ma si sa che per la qualità serve tempo. Poi come al solito alle 21:30, massimo 22 tutto chiude, rientriamo in guest house usando le torce per evitare di finire nelle enormi buche che si trovano sui marciapiedi. Al nostro arrivo il cielo si è annuvolato, un fenomeno raramente accaduto qui in Cambogia da quando siamo entrati, ma che ci accompagnerà per qualche giorno nella zona di mare.

 

Il granchio al pepe tipico di Kampot

 

24° giorno

Noleggiati gli scooter, prima tappa per colazione con ottime paste e caffè buono ma non più come quello alla vietnamita del nord, poi prendiamo la direzione per la grotta di Phnom Chhnork dove si arriva uscendo da Kampot 4 km e deviando a sinistra su strada non asfaltata. Non ci sono indicazioni, arriviamo a un wat e lì assieme ad altri viaggiatori paghiamo l’ingresso ed il parcheggio degli scooter, iniziamo ad esplorare la grotta ma ci accorgiamo subito che non si tratta di quella riportata nelle varie guide ed indicazioni turistiche. Ovviamente i ragazzini del posto tacciono sulla cosa, vogliono solo scroccare qualche mancia spergiurando come questa sia la grotta giusta, ma abbandoniamo velocemente l’escursione di questa grotta che non presenta aspetti interessanti e che dovrebbe chiamarsi Phnom Chisor, poi dopo tantissime richieste alla gente del posto e dopo aver fatto tentativi di ogni genere assieme ad altri stranieri qui dispersi come noi giungiamo al posto di partenza per la grotta giusta. Ragazzini poco simpatici chiedono mance per sorvegliare gli scooter altrimenti promettono guai, così meglio lascarli al Kaka Cafè Shop che non vuole nulla ma la sa lunga perché poi al rientro chi non si ferma a bere qualcosa (il tè freddo viene offerto, i prezzi di altre bibite o cibo nello norma)? Da qui si attraversano le risaie, si paga un nuovo biglietto e si salgono circa 175 gradini per scenderne 35 e trovarsi dentro alla grotta che presenta un tempio datato VII secolo, quindi pre-angkoriano, dedicato a Shiva come si può osservare sulle pareti ancora in buono stato grazie al fatto di trovarsi all’interno della grotta e protetto dalle terribili piogge monsoniche. Si dipanano molteplici tunnel, per affrontarli dotatevi di guida e torcia, si riesce a uscire dal basso nei paraggi della biglietteria passando su rami che fungono da passerelle. Il tutto in linea teorica, perché di noi nessuno ha tentato l’escursione. La vista sulle risaie è ottima, peccato solo che il cielo sia coperto. Da qui seguendo più l’istinto che la ragione prendiamo sentieri in direzione di Kep, riallacciandoci alla strada statale poco prima della deviazione per l’antica perla marina dell’impero francese. La città è famosa per i suoi incredibili granchi blu, il mercato del pesce (decisamente caratteristico) è ovviamente il luogo ideale per trovare le tante donne che pescano questo prelibato crostaceo, che qui viene sempre proposto associato al pepe di Kampot, considerato il migliore al mondo, a seconda della stagione si può trovare quello nero (un solo mese all’anno), il più prelibato, quello verde, quello rosso e quello bianco, banale e sempre reperibile. La cosa più particolare al di là della cattura e del fatto che per mantenerli vivi le donne facciano sempre fuori e dentro dal mare, è l’asta per comperarli tra ristoratori e turisti. È possibile comprarsi i granchi dalle pescatrici e farseli cuocere al mercato in enormi pentoloni, certo poi che mangiarsi un granchio come un panino non è proprio comodo. Al mercato si trovano anche molte altre specie ittiche, a cominciare dai calamari, alcuni enormi, spiedini con ogni prelibatezza, anche se la cottura lascia a desiderare, meglio optare per uno dei numerosi ristoranti attigui. Circumnavigando la penisola cerchiamo un luogo dove rilassarci sul mare dopo aver passato l’enorme statua di un granchio e quella di Sela Cham P’dey, ma il tempo è brutto e la piccola spiaggia non il posto ideale, così facciamo tappa in uno dei tanti bungalow adattati con amache, se si prende da bere o mangiare è gratis. La vista sulle isole, la più celebre è Koh Tonsay, conosciuta anche come l’isola del coniglio e la grande Phu Quoc, vietnamita, sarebbe notevole, peccato che il cielo coperto e al limite della pioggia ci privi di questo spettacolo che però ripreso in b/n presenta un gran fascino. Dopo uno spuntino al mercato del pesce ci aggiriamo nel parco di Kep tra fascinose e decadenti ville coloniali per prendere la via del ritorno rabboccando più volte la benzina dato che gli scooter automatici consumano circa il doppio dei manuali. Fortuna che come al solito lungo la via è pieno di persone che vendono bottiglie e bottigliette di carburante, percorsi circa 75 km. Lasciati gli scooter alla guest house e chiesto per l’indomani il cambio con quelli manuali, ceniamo sulla via della nostra guest house.

 

continua...

 

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