4° giorno - Samarkanda
La guida ci prende in consegna al mattino e ci porta subito allo Shah-i-Zinda, che significa "Tomba del Re Vivente". In realtà è un susseguirsi di mausolei, uno più bello dell'altro, lungo uno stretto asse centrale. L'edificio più delizioso è il mausoleo di Shodi Mulk Oko, dedicato ad una sorella e una nipote di Tamerlano, decorato da splendide piastrelle di maiolica talmente ancora perfette da aver necessitato solo in minima parte di quel restauro, a volte fin troppo aggressivo e discutibile, a cui sono stati sottoposti molti monumenti uzbeki.
Spostandoci a piedi attraversiamo il bazar, meno vasto di quello di Tashkent ma non meno fornito di leccornie di ogni foggia e colore, apprezziamo il pane dalla caratteristica forma a ciambella senza buco (una specialità della storica città che ha la stessa età di Roma, circa 2750 anni), ammiriamo le tante varietà di tabacco da fiuto e i più disparati tipi di dolci.
Usciti dal bazar siamo di fronte alla maestosa moschea di Bibi-Khanym, un tempo una delle moschee più grandi del mondo. Fatta erigere da Tamerlano sul finire del XIV secolo (anche se la leggenda vuole che a commissionarla sia stata la moglie cinese del condottiero della quale l'architetto si invaghì al punto da rallentare i lavori per continuare a vederla), nel cortile interno dispone di un gigantesco leggìo di pietra sul quale presumibilmente veniva letto il pesante Corano visto a Tashkent.
A seguire visitiamo la deserta moschea di Hodja Abdi Darum (nessun pedaggio, non citata sulla Lonely Planet) dal minareto inframezzato da un'inconsueta tettoia. L'interno è piacevole: la vasca ottagonale nella quale si specchia l'antico portale - in restauro - è circondata da giganteschi platani e su un lato vi è la moschea vera e propria, perfettamente curata perché in uso. Di fronte si trova il mausoleo di Ishrat Khana (nessun pedaggio), maestoso ancorché in rovina e forse, in futuro, oggetto degli invasivi restauri uzbeki. A noi è piaciuto gustarcelo così com'era, col tetto di lamiera a riparare dagli agenti atmosferici e le impalcature all'interno per sostenere i pezzi pericolanti ma ancora trasudante storia da ogni mattone.
Dopo il pranzo in un defilato ristorante per locali ben consigliatoci dalla guida, visitiamo il pezzo forte: il Registan. Purtroppo la classica veduta di grande impatto della magnifica piazza circondata sui 3 lati da alcuni degli edifici più belli di tutta l'Asia Centrale è deturpata da una tribuna e un ancora più vasto palco montati in previsione del Festival della Musica Tradizionale Asiatica che si terrà a settembre. Vabbeh mettercisi per tempo, ma qui mi sembra si sia esagerato...
Entrando nella piazza, sulla sinistra vi è la madrassa di Ulugh Bek, la più antica costruita nel 1420. Di fronte la madrassa di Sher Dor il cui portale è decorato da due strani felini che paiono dei leoni tigrati, a dispetto del divieto islamico di raffigurare animali viventi. In mezzo alle due vi è la madrassa Tilla-Kari la cui moschea interna ha un soffitto piatto raffinatamente decorato in oro che lo fa sembrare una cupola. Tappa finale al mausoleo di Gur-e-Amir dalla bella cupola scanalata che ospita le ceneri del grande condottiero (e diversi parenti stretti tra cui alcuni figli e il suo maestro Sheikh Umar) anche se, nelle sue intenzioni, questo edificio doveva ospitare le spoglie di un nipote, avendo previsto per sé una modesta cripta a Shahrisabz, la sua città natale.
Rientrati al B&B, usciamo per cercare di sfruttare la calda luce del tramonto per fotografare il Registan o, visto il palco in mezzo, qualcuna delle madrasse che lo circondano. Arrivato in piazza una delle guardie mi ripropone l'offerta che mi aveva fatto in precedenza: 10.000 sum per salire sul minareto. Stavolta accetto e seguo un suo collega che mi indica la via tra le impalcature. A un certo punto, in mezzo a calcinacci e solai poco rassicuranti, parte la strettissima e buia scala a chiocciola che mi porta in cima alla torre da dove, attraverso un buco nella lamiera, fotografo la madrassa Sher Dor dall'alto. Niente di indimenticabile, anche perché c'è appena lo spazio per stare in piedi, e poi è già subito ora di scendere visto che dietro di me premono una decina di coreani corpulenti.
Passare nella scala due alla volta è ancora meno divertente: la macchina fotografica sbatte un paio di volte sulle pareti ma non subisce danni, fortunatamente. Tornato a terra la guardia invita tutti ad andarsene, non si può più stare nella piazza. Ma poi la mia compagna si fa venire lo scrupolo e mi costringe, anche se non se lo meritava, a tornare dalla guardia alla quale dò la somma pattuita, che né lui né il collega mi avevano chiesto, pensando entrambi che l'avrebbe fatto l'altro. Rimane stupito ma poi, ovviamente, non mi sgrida più anche se resto col cavalletto ben oltre il tempo consentito.
Tornati al B&B faccio qualche scatto al mausoleo Gur-e-Amir illuminato di notte che però non mi soddisfano. Al rientro purtroppo ci aspetta una doccia gelata: la signora, nel cercare di organizzarci l'escursione ad Urgut, ha appreso con stupore (visto che appena la domenica precedente lei, collezionista di suzani come dimostra la stanza in cui dormiamo, vi era stata), che il mercato è stato chiuso a tempo indeterminato, pare per permettere dei lavori di ristrutturazione. Cosa che non è stata presa bene dai commercianti, visto che ci sono stati scontri con la polizia con relativi arresti dei dissidenti. Ci tocca pertanto rinunciare e rimodellare gli spostamenti: domenica andremo a Shahrisabz in giornata dedicando allo spostamento a Bukhara il lunedì mattina, almeno guadagneremo tempo.
Il fragrante pane uzbeko - Archivio Fotografico Pianeta Gaia
5° giorno - A casa di Tamerlano... e dei suoi discendenti
Alle 9:00 ci passa a prendere il tassista dalla bella faccia rubiconda che ci porterà a Shahrisabz: anche questo l'inglese non lo mastica e lo scambio di informazioni è piuttosto basico durante i quasi 90 chilometri di strada in buone condizioni che ci separa dalla città di Tamerlano, anch'essa sito UNESCO. Prima di uscire dalla città visitiamo una moschea non indicata sulla Lonely Planet e il cui nome ci risulta tuttora sconosciuto visto che il biglietto era scritto unicamente in cirillico.
Il percorso fino alla città di Tamerlano offre al nostro sguardo qualche paesaggio diverso: dai 700 msl di Samarkanda si scavalca il passo Takhtakaracha attorno ai 1700 msl, anche se la montagna continua ad essere piuttosto brulla e non offre scorci particolarmente spettacolari se non qualche strana roccia e alcuni locali a dorso di somaro. Quasi in corrispondenza del passo facciamo una sosta presso un mercatino dove spicca la frutta secca: prendo un sacchetto di albicocche secche che poi si riveleranno piuttosto ostiche da masticare.
Qualche chilometro più avanti facciamo sosta presso una versione locale di un "autogrill": una famiglia ha costruito un forno tandoori in corrispondenza di un piccolo spiazzo e sta macellando una pecora (e non vogliono essere ripresi mentre lo fanno) che poi cuoceranno aggiungendo dei rami di piante locali per insaporirlo. All'assaggio è gustosa, ma di mangiare della pecora con questo caldo non se ne parla neanche.
Giunti a destinazione l'autista parcheggia e ci fa capire che ci aspetterà lì al termine del nostro giro. Cominciamo dal vicino Ak-Saray (Palazzo Bianco) che fu il Palazzo di Tamerlano: nel parco antistante c'è una grande statua del condottiero attorno alla quale si ammassano un numero imprecisato di cortei nuziali mentre sullo sfondo i resti del palazzo rivelano che, ai bei tempi, poteva tranquillamente rivaleggiare in grandiosità coi monumenti di Samarkanda.
Adesso invece è abbastanza male in arnese, in pratica spezzato in due visto che la parte centrale del portale è crollata ma conserva molto del suo fascino, come del resto la città, quasi non toccata dagli architetti sovietici che, di norma, a fianco dei tortuosi vicoli della città antica solevano erigere la "città nuova", fatta di larghi viali e anonimi quartieri di casermoni di cemento. Saliamo fino in cima ad una delle strutture residue per godere una vista della cittadina e mappare i cortei matrimoniali, almeno cinque o sei, che si sparpagliano nel parco. Strana abitudine questa di recarsi presso un monumento dopo la cerimonia nuziale. Tornati a livello del suolo un cameraman ci chiede, per dare un tocco di originalità, di poterci riprendere assieme agli sposi e mentre posiamo sorridenti sopraggiunge un'altra coppia che mi affianca e sfrutta la geniale idea del primo "regista".
Procediamo verso la parte vecchia della città per visitare la grande moschea Juma (del Venerdì) le cui decorazioni interne rivelano influenze iraniane e indiane e dietro la quale si trova un complesso funerario. Poco lontano dalla moschea sorge un altro edificio piuttosto malridotto, il complesso dell'imam Khazrati, che visitiamo brevemente anche per non disturbare la preghiera che un gruppo di anziani vi sta tenendo.
In pratica il giro è finito, altri monumenti significativi da vedere la guida non li segnala e allora rientriamo infilandoci nel dedalo di straduzze della città vecchia, che il tassista ci aveva accennato di evitare, forse nel timore che ci perdessimo. È giorno di mercato, c'è gente in giro e continuiamo a destare sorpresa: dapprima fotografo le ridanciane commesse di uno dei tanti negozi di abiti da sposa e poi delle ragazze dietro ad una bancarella di tessuti.
Infine un simpatico bimbo che si è bloccato sulla porta di casa: effettuato lo scatto glie lo mostro e lui gradisce, così come la madre che si è affacciata che poi, sorridendo, ci fa un gesto con la mano, come se si stesse pulendo la bocca. Intuisco che è un invito a pranzo ed entro, più per la curiosità che per la fame, ovviamente. Ci fanno accomodare a tavola, all'ombra del cortile interno, e nel giro di pochi minuti ci portano un gigantesco piatto di plov, riso saltato in questo caso condito con carne di montone e carote che i bimbi della casa, a tavola con noi, affrontano con gusto. Mangiamo qualche boccone per cortesia, scattiamo qualche foto alla simpatica famigliola che, nel frattempo, si è radunata nel cortile uscendo dalle varie porte ma la conversazione, dovendo basarsi sul nostro risicato russo parlato, ha breve durata. Li salutiamo e i reciproci sorrisi sono la cosa più eloquente che riusciamo a comunicarci.
Siamo quasi arrivati al parcheggio ma prima di svegliare il tassista che sornacchia, un signore anziano ci ferma e sorridendoci ci rivolge la parola. Non capiamo ma presumendo che voglia sapere da dove veniamo rispondo con un "Italy", lui pare apprezzare e allarga ancora di più il sorriso: snocciola un convinto "Toto Cutugno" e qualche nome di calciatore. Poi gli argomenti terminano e non sapendo come comunicarmi il piacere del breve scambio di battute mi abbraccia calorosamente, tra le nostre risate. Sono proprio simpatici questi uzbeki. Rientrati al B&B, come sapevamo di dover fare, ci spostiamo in una stanza che dà sul cortile dell'abitazione principale. Non c'è la terrazza ma è pure più bella, con pareti ricche di nicchie e uno spettacolare soffitto dipinto.
Ci rimane ancora qualche ora di luce che sfruttiamo per andare a cercare una vecchia sinagoga nella parte vecchia della città, il quartiere dove preferiamo bighellonare. La sinagoga è quasi indistinguibile dalle case dei dintorni, solo una grondaia con il disegno di una menorah (candelabro a sette braccia) ce ne rivela la presenza. Pare abbandonata ma poi salta fuori un ometto che ci fa accedere e ci mostra, dietro richiesta di una piccola donazione, l'interno del luogo sacro.
Continuiamo a vagare per le stradine sterrate e incontriamo una bella moschea, con le colonne dell'aivan dipinte di verde, davanti alla quale degli uomini giocano a backgammon. La mia compagna non viene perché teme che le donne non siano ben accette e allora entro io e scambio un paio di battute mentre fotografo. Poi torno da lei che ha fatto comunella con un gruppetto di signori e bimbi molto cordiali che ci invitano a sederci sulla loro panca e coi quali si reitera l'ennesimo tentativo di comunicazione attraverso le poche paroli comuni: i nomi degli italiani famosi.
Siamo seduti, non c'è fretta, la platea è leggermente più numerosa e incuriosita del solito e quindi viene stabilito il record di nomi italiani pronunciati: Toto Cutugno, Adriano Celentano, Eros Ramazzotti, Berlusconi, Roberto Baggio, Cannavaro, Spalletti (che in questo momento allena lo Zenit di S. Pietroburgo). Poi si passa ai calciatori dell'ex-blocco sovietico che hanno giocato in Italia come Shevchenko e Kaladze, chiudo io in bellezza citando Zavarov, destando l'ammirazione di quello che sembrava il più preparato nella materia.
Rientrando ci imbattiamo nella fascinosa vecchia moschea di Koroboy Oksokol e proseguendo a piedi verso la guest house attraversiamo la zona nuova di zecca fatta costruire dalla solita figlia del presidente, piena di moderni negozi con grandi vetrate e articoli costosi in bella mostra, marciapiedi larghi, verde ben tenuto e unita al Registan da una specie di comodo trenino elettrico. Ma noi continuiamo a preferire le sgarrupate stradine della città vecchia, con i muri di fango essiccato misto a paglia e i tubi del gas che costeggiano i muri esterni delle case come fossero dei fili elettrici e che si alzano in corrispondenza degli incroci per lasciare passare i mezzi.
Il Mausoleo Gur-e-Amir dedicato a Tamerlano - Archivio Fotografico Pianeta Gaia
6° giorno - La Bukhara meno battuta
Partiamo alla volta di Bukhara, terzo sito UNESCO da visitare, su un taxi guidato da un silenzioso tassista: 260 di km di strada in buono stato per quasi quattro ore di viaggio, durante i quali l'unica sosta è quella che facciamo, quando ormai siamo alle porte della destinazione, presso un antico caravanserraglio e la sua cisterna.
Pernottiamo per tre notti presso un'altra stupenda guest house, una sistemazione che in sede di prenotazione avevo preferito ad altre più consigliate dalla guida, oltre che per motivi architettonici, anche perché il proprietario ha un'agenzia viaggi.
La guida è già prenotata da prima della partenza e ci accompagnerà dal giorno seguente: abbiamo quindi mezza giornata per gironzolare per i fatti nostri. Bukhara però è a 220 msl e la differenza di temperatura con Samarkanda (che è a 710 msl) si avverte: non abbiamo un termometro a portata di mano ma non credo di sbagliarmi di molto nel dire che siamo vicino ai 40°. La città è costellata di edifici storici, ben 140, in gran parte non più adibiti alle funzioni originali e spesso trasformati in negozi all'interno dei quali è possibile sostare per rinfrescarsi all'interno delle alte cupole dove il caldo ascende.
Bukhara pullula di negozi di souvenir dozzinali ma ve ne sono anche diversi con vere antichità e piccoli capolavori e curiosare in giro è un vero divertimento. Il sole però non concede tregua e dopo aver a lungo gironzolato troviamo ristoro presso la chaikana (sala da tè) Bolo Hauz le cui torte non sono niente di speciale ma il fresco e la comodità offerta dai tapchan (tipica piattaforma rialzata con basso tavolino centrale e spalliere dove gustarsi la bevanda nazionale) sono un vero toccasana per le nostre stanche membra.
Rifocillati e andando incontro a temperature meno torride, decidiamo di ripetere quanto fatto a Samarkanda, dedicando il tardo pomeriggio a visitare quei siti "minori" che l'itinerario classico della guida non prevederà. È così che partiamo alla ricerca della nascosta ma originale moschea di Chor Minor (che significa "quattro minareti") dalle influenze indiane, tanto per cambiare nascosta tra i vicoli della città vecchia: un percorso che ci fa anche trovare il mausoleo di Turki Jandi, che in realtà pare più una moschea disabitata, nella quale mi addentro indisturbato.
Ritorniamo verso il B&B per rinfrescarci con una doccia ed un po' di insana esposizione al getto dell'aria condizionata, poi andiamo a cenare nella caratteristica chaikana Lyabi-Hauz in centro, vicino ad un'antica vasca che però non ha l'effetto rinfrescante sulla temperatura che speravo. Al momento del conto il cameriere si limita a dire una cifra ed io, pur senza aver fatto calcoli sulla correttezza o meno della cifra, dico che voglio vedere il conteggio, avendo letto che quando non lo portano spesso c'è la magagna: il cameriere, seccato per la mancanza di fiducia, comincia a snocciolare a voce quello che abbiamo preso ma lo becco in castagna, la cocacola noi non l'avevamo ordinata. Si assenta per chiedere lumi e torna dicendo che si erano sbagliati e che il conto giusto è di 3.000 sums inferiore. Il tutto di nuovo a voce. Sicuramente ci avrà fregato lo stesso ma almeno gli ho reso la vita più difficile.
La cena non è stata esaltante e allora in questi casi mi piace "chiuderla" con un gelato, per dare un contentino al mio palato viziato. C'è un signore con quelle macchine che azionando una leva fanno scendere il gelato che viene raccolto in un cono. A Samarkanda ne avevo preso uno e non era cattivo: il cono più grande costava 800 sums. Chiedo all'omino dei gelati e lui ne vuole 1500 per il cono piccolo. Eh no, stasera ormai sono entrato in "modalità antitruffa" e mi impunto. Provo allora presso un bel negozio di alimentari lì di fronte con un gelato confezionato e mi viene chiesto lo stesso prezzo. Non demordo. Passeggiamo per il centro fino a quando, presso il punto in cui partono i taxi collettivi, trovo un supermercato aperto, nonostante l'ora. C'è lo stesso gelato confezionato per il quale poco fa mi hanno chiesto 1500 sums, prezzato 800 sums. Lo compro e me lo lecco trionfante.
Tratti asiatici e caucasici si mescolano nel volto di una ragazza uzbeka - Archivio Fotografico Pianeta Gaia
continua...
La Via della Seta, Uzbekistan - Parte I
La Via della Seta, Uzbekistan - Parte III