Di norma i miei diari iniziano subito col raccontare il viaggio di andata ma stavolta è necessaria una particolareggiata descrizione del mio compagno di avventura: il pilota. Viaggiando da solo, in zone dove l'inglese è sconosciuto e non volendo spendere una barca di soldi per auto a noleggio con autista e guida, ho trovato un'agenzia che mi fornisse di una moto e un pilota parlante inglese. Per una ventina di giorni mi sono fatto il culo quadrato sul sedile posteriore ma ne è valsa davvero la pena. Tutto quello che riporto sul pilota corrisponde al vero, nulla è stato inventato o esagerato per rendere il racconto più divertente. L'ho soprannominato il Vero Vietnamita.
Il Vero Vietnamita
In un mio precedente viaggio in Cina, con finalità similari, avevo avuto la possibilità di scegliere tra una guida cinese e un'occidentale e scelsi la seconda opzione, perché non mi sembrava avesse un gran senso andare a visitare delle minoranze etniche a fianco di chi apparteneva alla stessa maggioranza che le aveva emarginate, senza contare che spesso l'etnia dominante nutre, di norma, poco rispetto quando non proprio disprezzo nei confronti delle minoranze. Un po' come andare a visitare un campo Rom con Borghezio come guida. Fu un'ottima scelta perché Keith, neozelandese da anni in Cina, si rivelò perfetto: un vero backpacker, estremamente rispettoso delle minoranze ma anche un ottimo fotografo, nonché scrittore di guide di viaggio e articoli sportivi. I punti di contatto col sottoscritto erano parecchi. In Vietnam non ho avuto la possibilità di fare questa scelta. Ero perfettamente conscio che con un vietnamita sarei stato in minor sintonia di quanto non sia stato col suo predecessore, ma nemmeno potevo pensare di trovare una guida occidentale che guidasse e parlasse vietnamita. Ammesso che esista, mi sarebbe costata una fortuna. E così dall'Occidentale Rispettoso sono passato al Vero Vietnamita.
Risaie terrazzate nei pressi di Sapa - Archivio Fotografico Pianeta Gaia
Il Vero Vietnamita è un figo. Mi aspetta (per modo di dire, visto che giro mezz'ora prima di beccarlo) alla stazione di Lao Cai e subito si palesa come quanto di "meno tradizionale" potessi pensare. Cappelli tagliati a cresta, Rayban scuri, sigaretta perennemente appiccicata al labbro, jeans rigorosamente sdruciti e gonfi a mostrare portafoglio, cellulare e pacchetto di sigarette, abbigliamento sempre "firmato" Dolce&Gabbana, Calvin Klein, Nike e tendenzialmente sul nero. Sembra quasi una copia del "cattivo" giapponese che tormenta Michael Douglas in Black Rain, solo in salsa vietnamita. Tornati a Sapa ha modo, a differenza di me, di rinnovare il guardaroba e sfoggia un attillato giubbotto di pelle (che definisce "very espensis") che a suo dire tutti gli invidiano. La prima cosa personale che mi dice è che fa kick boxing e subito mi invita a dargli un pugno sul braccio per verificare la consistenza della muscolatura, dopo averla opportunamente contratta. Uno degli ultimi giorno l'ho fotografato assieme alla sua seconda e attuale moglie (piuttosto carina e comunque decisamente curata, per essere una vietnamita, spesso in minigonna o leggins e tacchi alti). Nel vedere lo scatto sul display della macchina il suo commento è stato: "Sono proprio bello". Del resto con le donne si tratta bene: "Vado solo con donne belle", afferma sicuro di sè ma anche: "Sono sposato e quindi fedele". Non mi risulta abbia cornificato la moglie in viaggio, anche se, a sentire lui, avrebbe avuto più d'una occasione. Ma ve le descriverò di volta in volta nel prosieguo del racconto.
Il Vero Vietnamita è il Re della Strada. Un fondo di verità ci sarebbe anche (lo afferma anche il t.o. che è bravo), di sicuro non fa nulla per nasconderlo: afferma in continuazione di essere un ottimo pilota; sorpassa tutto il sorpassabile anche quando le condizioni della strada o l'approssimarsi di curve cieche lo sconsiglierebbero; ad ogni sorpasso lancia uno sguardo di sfida al malcapitato in perfetto stile Gassman ne "Il sorpasso" così come a quelli che lo rallentano; usa il casco solo nei pressi delle città più grosse per paura di essere fermato/multato (in Vietnam sono praticamente sinonimi) e per il resto del viaggio lo tiene infilato sullo specchietto laterale nonostante debba infilare la mano attraverso la visiera per accedere alla manopola. Se trova un cane o un altro animale in mezzo alla strada, invece di cercare di evitarlo, lo avvicina per tirargli un calcione ("colpirne uno per educarne cento" come dice Abatantuono ne "Il continente nero", tanto per rimanere in ambito di citazioni cinematografiche) ma con scarse percentuali di successo: ricordo un solo guaito su una decina di tentativi.
Il Vero Vietnamita è il Migliore in tutto quello che fa. Gioca a biliardo, come tutti i vietnamiti a soldi, ed è, a suo dire, il migliore di tutta Sapa e potrebbe anche essere non del tutto falso visto che più di una volta l'ho visto vincere dei soldi. Si dichiara fortissimo anche a carte, e pure in questa "disciplina" gli ho visto mettersi in tasca le vincite. Mai visto giocare a poker, ma anche lì sostiene di essere il migliore della città. Ah, le lingue. Pure in quelle è versatissimo: parla, dice lui, inglese, francese, spagnolo, giapponese, cinese, ecc. Secondo me voleva dire che conosce almeno una parola in quelle lingue, perché, cominciando dal più facile, il suo inglese è a dir poco maccheronico. Non vi dico quante bestemmie ho tirato dopo aver capito che il "basbox" era in realtà il "passport", che "vinis" stava "village" e che "marriage" indicava indifferentemente "matrimonio", "moglie/marito" e "sposata/o". Ma mi rimane tutt'ora il dubbio sul significato del più volte ricordato "picnis". Forse "business". Boh. Si ritiene anche un'ottima guida ma al mio sguardo tra il perplesso e il canzonatorio specifica: "Solo dell'area di Sapa, che conosco come le mie tasche".
Il Vero Vietnamita ha il senso degli affari. Fare il pilota per i turisti (attività comunque piuttosto remunerativa rispetto agli standard vietnamiti) non è la sua principale attività, o almeno non l'unica. Possiede anche un bar di cui favoleggia di incassi anche da 400/500$ a sera, benché nelle due volte che ci sono stato io non ci fosse praticamente un'anima viva ad ascoltare la musica techno a tutto volume scaricata a gratis dal web. Ma pensa in grande: vorrebbe metter sù un business con le moto usate (comprare quelle usate dalle donne e quindi non sottoposto a particolare logorio) e rivenderle, aprire un secondo bar a Bat Xat (dopo aver verificato che non ce n'erano) ma in particolare spostare il suo bar dall'attuale bugigattolo all'edificio alto e moderno che gli stanno costruendo a fianco. Ci andrà in affitto e così avrà posto anche per ballare, per i suoi amati biliardi e una bella finestra grande con vista sul sottostante mercato (coperto, non una gran vista a mio parere). Ovviamente non si farà scrupoli per accontentare i suoi clienti che dovranno poter trovare tutto quello che desiderano per passare una bella serata: dalla buona musica ai cocktail più fantasiosi, dalla marijuana, all'oppio, alle ragazze "disponibili". Un ospite squisito, cosa non farebbe per i proprio clienti...
Come quasi tutti i vietnamiti, mi sono spostato così - Archivio Fotografico Pianeta Gaia
1/2 - Sonni disturbati
Cerco il biglietto ferroviario per Milano Centrale sul sito di Trenitalia che subdolamente sembra proporre solo il costoso FrecciaRossa da 46 € di sola andata. Bisogna cliccare sul pulsante "tutte le soluzioni" per scoprire che con un Intercity il prezzo è quasi la metà: 27 €. E' sabato, impiegare un'ora in più non mi è particolarmente scomodo e scelgo di risparmiare. Invece che pagare il biglietto on-line, per una naturale ritrosia verso i pagamenti via web, passo dalla biglietteria della stazione e il bigliettaio mi chiede: "Lo vuole lo sconto del 30% sul tratto Bologna-Milano?", fintamente dubbioso di sfondare una porta aperta. "Certo!" e alla fine pago 21 €. Misteri della semplificazione internettiana. Dalla stazione di Milano Centrale prendo il bus navetta per Milano Malpensa e faccio check in perfettamente in orario presso i banchi della LOT. Lo stop over nella capitale polacca è di appena 1 ora e 5 minuti ma, forse anche complice un piccolo ritardo nella partenza del secondo volo durante il quale ho potuto dormire ben poco a causa di alcuni rumorosi polacchi, all'arrivo a Hanoi il bagaglio si presenta puntuale sul nastro. Arrivo verso le 15:00. Mi accoglie uno tarchiato, col ciuffo disordinato, che ha il mio nome scritto sul cartello: mi mette su un taxi e non lo vedo più. Vengo recapitato negli uffici del tour operator locale, di fatto una stanza sopra ad una specie di piccolo bar, dove incontro il proprietario dell'agenzia, un giovane vietnamita originario di Sapa e dal buon inglese, col quale avevo definito i dettagli dell'itinerario. Disponibilissimo, mi ha procurato la mappa che avevo chiesto, o per meglio dire uno stradario che suddivide il paese in 61 cartine. Gli altri libri che avevo richiesto sulle minoranze etniche non erano disponibili, ma li ha ordinati: dovrebbero arrivare a giorni e me li farà avere lungo il percorso. Inoltre manda una sua impiegata a cambiare gli euro, ad una tariffa più vantaggiosa di quella ufficiale. Poi, con una mossa che apprezzo, mi dice anche che il pagamento della sua parte (moto+pilota) posso farlo a viaggio ultimato quando ritornerò ad Hanoi.
In attesa di prendere il treno notturno per Lao Cai, ho qualche ora di tempo e quindi prendo la direzione del Quartiere Vecchio, vero fulcro cittadino, ma quando mi ritrovo a dover attraversare una specie di tangenziale nella quale scorre un fiume di motorini, considerato che alle 21:50 ho il treno, decido di non complicarmi l'esistenza: ciondolo un po' nel quartiere dove mi trovo e poi torno all'ufficio a sfruttare la connessione internet dell'agenzia. Un altro impiegato (ma quanti sono? L'impressione è che in realtà siano tutti amici/conoscenti che si prestano saltuariamente) mi porta alla stazione dei treni dove la porta per l'accesso alle banchine viene tenuta chiusa fino a quando il treno non è arrivato. Poi viena aperta e tutti si riversano verso i treni, mescolandosi con la folla di quelli che scendono e che escono alla spicciolata, nessuno passando per la stazione anche perché in realtà è tutto decisamente "aperto" e allora non mi spiego la porta chiusa di poco fa. Individuo la mia carrozza, quella della categoria più lussuosa con scompartimenti da 4 cuccette "morbide", e i miei compagni di viaggio sono 3 signore vietnamite tra i 50/60 anni, ovviamente nessuna in grado di esprimersi nella lingua di Albione. Il treno parte e comincia pian piano a prendere velocità mentre passa, senza nessuna protezione, vicinissimo alle case: dalle finestre e porte aperte scorgo gente intenta a cenare, a giocare a carte, perfino un internet cafè i cui clienti, più che navigare sul web, giocano ai videogame. Qualche chiacchiera con un vicino di scompartimento, un vietnamita che lavora coi turisti e che sta andando a Sapa con dei suoi amici, e poi vado nella mia cuccetta, in alto, ad iniziare un altro sonno interrotto e ripreso più volte, più a causa dei rumori e delle luci delle stazioni che dal jet leg.
continua...