1° giorno
Da Bologna con una Frecciargento raggiungo direttamente l’aeroporto di Fiumicino da dove parte il volo Aegean (la scelta della compagnia è dettata dal fatto che arriviamo in Georgia e ripartiamo dall’Armenia, sono poche le compagnie che servono entrambi i paesi causa problematiche storico/politiche) per Atene. Le pratiche d’imbarco al famigerato terminal 3 sono veloci ma per un problema di spazi aerei partiamo in ritardo, ritardo che non viene recuperato, fortuna che nella capitale greca il tempo di attesa del volo seguente è di svariate ore quindi nessuna problematica di coincidenze andate. Volo di 1:40 con un moderno Airbus (come tutti i voli a seguire), durante il quale si viene serviti di snack e cena, magari la qualità non è il massimo ma il servizio ottimo, i quattro premi consecutivi vinti come miglior compagnia europea a medio raggio non sono usurpati. Il cambio dal terminal di arrivo a quello di partenza tutto sommato non è scomodo, pratiche transfert celeri e nuova attesa che causa ritardo precedente è corta. In aeroporto funziona un servizio gratuito di wi-fi dopo registrazione, ma sono a disposizione anche un certo numero di pc.
Veduta di Ushguli tra le montagne
2° giorno
Il volo per Tblisi è puntuale, stesso servizio del precedente e arrivo alle 4:45, la maggior parte dei voli europei arriva nella notte perché limitano i costi, l’attesa bagagli è lunga visto che ci ritroviamo in tanti negli stessi spazi allo stesso orario, recuperiamo tempo al controllo passaporti, veloce e sbrigativo. Con un pulmino messo a disposizione dal tour operator raggiungiamo l’hotel in pieno centro città, dove sarebbe stata la prima tappa se avessimo optato per un viaggio con meno Caucaso. Ci rimane giusto il tempo per una doccia e per un’abbondante colazione, raggiungiamo la città vecchia dove ha sede l’agenzia per sistemare le ultime questioni, cambiare i soldi e partire immediatamente per la tappa più lunga in Georgia, destinazione Svaneti Superiore. La prima tappa la facciamo al monastero di Ubisa per visitare la chiesa di San Giorgio (nome ovviamente ricorrente in ogni dove nella nazione, anche se il nome dello stato in georgiano è Sakartvelo), costruito nel IX secolo situata tra Gori e Kutaisi, a pochi passi dalla strada principale che dalla capitale porta sul turistico lungomare del Mar Nero. Per spezzare il lungo viaggio ci fermiamo a Zugdidi e pranziamo in un bel ristorante, dove iniziamo a prendere contatto con la cucina locale, tra khachapuri (focaccia al formaggio), i khinkali (enormi tortelloni con ripieni vari) e le imperdibili badrijani nigvzit (melanzane con noci e aglio, tanto aglio…) oltre alle classiche zuppe, molto buone ma sempre accompagnate dall’immancabile coriandolo, erba principe della Georgia. Il menù è proposto anche in inglese, ma mediamo vari assaggi su consiglio della guida e dei camerieri. Servizio lento, bagni in ottimo stato. Continuiamo la marcia verso le montagne combattendo il caldo esterno con un’aria condizionata pungente, per l’autista non si può fare altrimenti. Da Zugdidi iniziamo a salire verso nord costeggiando il confine con l’Abkhazia, una regione che si è dichiarata indipendente, riconosciuta da pochissimi stati al mondo, ovviamente tra questi la vicina e imperante Russia. Ora la situazione dopo la guerra del 2008 non è tesa, anzi si può andare in Abkhazia passando dalla Georgia, cosa non fattibile fino a nemmeno 2 anni orsono, facciamo una sosta alla diga e relativo bacino artificiale di Jvari dove al tempo la guerra infuriò perché entrambe le fazioni volevano sfruttare le risorse energetiche prodotte dalla locale centrale idroelettrica. Si costeggia prima il lago e poi si segue il percorso del fiume Enguri, lo scenario si fa via via più interessante e la strada inizia a salire, prima di giungere a Mestia scorgiamo le prime case torri, abitazioni/fortificazioni tipiche del luogo con sullo sfondo montagne innevate, i ghiacciai partono dagli almeno 4.500 metri, quindi queste montagne lambiscono i 5.000 metri, la prima di queste è l’Ushba, 4.710 metri che all’ora del tramonto regalano suggestioni rosa. Giungiamo a Mestia dove pernottiamo all’hotel (più un’abitazione privata in famiglia con stanze che un hotel vero e proprio), ceniamo appunto in famiglia con ogni sorta di cibi del luogo, qui la carne la fa da padrona, ma di verdure c’è comunque abbondanza, il caffè proposto è quello tipo solubile, varietà di tè e tisane, chi vuole può tentare il vino georgiano di cui tanto si vocifera, conservato anziché nei tini negli otri di terracotta, chi lo prova non apprezza. Mestia è un insieme di piccoli villaggi, tutti hanno le case torri ben evidenziate e di notte illuminate, così anche se la giornata è stata particolarmente lunga (in pratica son 2 giorni filati senza dormire) una passeggiata serale a goderci il simbolo montano della Georgia non può mancare. La temperatura scende ma non fa freddo nonostante ci troviamo a 1.500 metri, certo non si può rimanere in maglietta ma dopo il caldo della giornata la serata è piacevole. A Mestia il turismo è in forte espansione, iniziano a sorgere bar e ristoranti, quindi anche se parlare di vita notturna è dura, scambiarsi idee con altri viaggiatori è possibile. Ci si addormenta scartando il pesante piumone dopo aver percorso 587 km, tutti in buone condizioni, ai quali vanno aggiunti i 20 dall’aeroporto all’hotel.
Una venditrice di cappelli, Ushguli
3° giorno
Colazione in hotel e poi con dei mezzi 4x4, che in quasi tutta la Georgia sono dei Mitsubishi Delica con guida a destra perché importati dal Giappone, prendiamo la via verso Ushguli che dista 47 km da Mestia, una delle località principi dello Svaneti, sito Unesco dal 1996 per le sue tradizionali case torri. La prima parte del tracciato è su asfalto, viste splendide sulla valle dominata dal monte Tetnuldi, che significa Monte Bianco, di poco sotto ai 5.000 metri e quindi con vetta innevata. Arrivati al passo Ughviri (1.922 mslm), la strada diventa sterrata e non in perfette condizioni, si scende a precipizio verso Iprari, passato il quale facciamo tappa alla Casa Torre denominata dell’amore. Quest’antica fortificazione, presidiata da una caratteristica signora svan, è visitabile sui 3 piani, all’interno non c’è nulla ma per posizione e forse per il fatto che sia la prima risulta una visita imperdibile. Si prosegue molto lentamente, i villaggi sono pochi e molto piccoli, arrivati a Iprari si scorge la vetta del monte Shkhara, la cima più alta dello stato sul confine con la Russia. Nel villaggio c’è anche un cippo dedicato ai caduti della II guerra mondiale, soldati dell’Armata Rossa che sconfissero una spedizione dell’Edelweiss tedesca arrivata tra queste vallate alla ricerca dello Shangri-la. Ushugli non è un vero e proprio villaggio ma un insieme di quattro piccoli villaggi, il primo dei quali Murqmeli, il più in basso, è situato lungo il fiume Enguri. Le prime case torri svettano già qui, lascio i fuoristrada visitando il minuto villaggio contraddistinto da bucato colorato steso al sole e al vento e continuo a bordo del fiume verso i prossimi, godendomi uno scenario favoloso, una valle verde smeraldo costellata di case torri e sullo sfondo lo Shkhara dall’alto dei suoi 5.000 metri abbondanti completamente sgombro di nubi. Nel villaggio di Chazhashi ha sede il museo etnografico, piccolo ma caratteristico anche perché all’interno di una casa torre, sul punto più alto di questo villaggio si gode la vista migliore di Ushguli, imperdibile. Il viaggio da Mestia a qui, compreso di soste, dura circa 3 ore, a questo punto ci giriamo anche i restanti villaggi di Chvibiani e Zhibiani dove pranziamo in un bar ristorante all’aperto godendoci, oltre a qualche nuova specialità locale, la vista. Ushguli è dominata dalla fortezza che contiene la chiesa di Lamaria alla quale si accede guidati da un monaco, poi lentamente lasciamo il luogo imparando che le case torri viste sono tipiche dello Svaneti e costruite con pietre e piccoli inserimenti di malta, noteremo in seguito la differenza con quelle del Tusheti. Queste case torri non servivano per difendersi da incursori stranieri, che avrebbero faticato ad arrivare fin qui, ma per le guerre interne tra le famiglie del posto, quando scoppiava una disputa le famiglie si chiudevano dentro a queste costruzioni con tutto l’armamentario per sopravvivere per lunghi periodi, compresi inverni rigidissimi. Sulla via del ritorno più volte ci fermiamo presso case e microscopici villaggi a salutare la ormai ridotta popolazione locale, purtroppo il dialogo è limitato e costretto a passare tramite la guida, un grande vantaggio si rivelano come altrove le macchine fotografiche digitali perché la possibilità di riprenderci assieme e visionare immediatamente quanto colto abbatte le riluttanze e le paure. Giunti a Mestia visitiamo una tipica casa svan nella parte nord occidentale del paese, casa Marsheli, molto illuminante per comprendere le condizioni di vita e la vicinanza tra uomo ed animale, di fatto lo spazio era il medesimo. Nei dintorni sorgono alcuni bar dotati di wi-fi, a piedi attraversiamo Mestia che richiamo un folto numero di viaggiatori e si sta dotando di svariate infrastrutture per ospitare in inverno gli sciatori. Cena in hotel, al solito molto abbondante dove occorre abituarsi a un formaggio che definire salato è un eufemismo, poi un giro almeno della piazza adiacente non si può non fare, di gente se ne vede e risuonano più idiomi, anche se prevalentemente si tratta di europei, difficilmente si avvistano viandanti provenire da altri lidi, ovvia visione delle torri illuminate. Percorsi 95 km, di cui circa 70 su strade in pessimo stato.
Una tipica casa-torre di Ushguli
4° giorno
Colazione in hotel oggi all’aperto anche per via di un black-out elettrico, poi caricati gli zaini sul pulmino raggiungiamo a piedi il vicino museo di storia ed etnografia, estremamente interessante, dove tra i tanti oggetti tipici della cultura svan fanno bella mostra splendidi monili, in parte donati dalla regina Tamar, icona assoluta della Svaneti. In un grande spazio adibito a mostre temporanee, fa bella mostra di se un’esposizione fotografica di Tikanazde che da poco ha sostituito quella di Vittorio Sella. Il museo aprirebbe alle 10, ma il giorno prima avevamo chiesto la possibilità di visitarlo in anticipo, alle 9, e siamo stati accontentati. La permanenza nella Svaneti volge al termine, riprendiamo la strada verso Zugdidi con alcune soste, a Lanjeri per la chiesa dell’Arcangelo Gabriele e a Latali per la chiesa del profeta Giona da dove si gode un’ultima bella vista sulle montagne del Caucaso. Riprendiamo la strada di due giorni prima e a questo punto continuiamo fino a Zugdidi dove, dopo un veloce kebab nei dintorni del palazzo Dadiani, entriamo a visitare questo edificio che pare un castello nel mezzo di un vasto parco, con temperature molto alte, soprattutto a seguire quelle piacevoli della montagna. All’interno un museo contente arte varia, da quadri a porcellane, compresa una maschera funeraria di Napoleone. Non si tratta di una visita imperdibile, serve piuttosto come stacco del lungo trasferimento giornaliero. Proseguiamo per Kutaisi dove andiamo direttamente al celebre Monastero di Gelati costruito per volere del re Davide il Costruttore nel XII secolo, con qualche inconveniente, la strada di accesso è interrotta per lavori e percorribile tra montagne di polvere a senso alternato così impieghiamo molto tempo, poi quando giungiamo al monastero lo troviamo in ristrutturazione. Fanno bella mostra di sé monaci particolarmente caratteristici, sembra quasi che vi stazionino per dare un senso al monastero ora trasformato in cantiere, facendo tappa tra la chiesa ed una vecchia auto, la storica M20 Pobeda (che significa Vittoria, nome dato in un secondo tempo perché il primo scelto, Patria, fu scartato da Stalin in quanto non volle che la Patria avesse un prezzo) che venne progettata e costruita in seguito alla vittoria nella seconda guerra mondiale da parte dei sovietici (i georgiani ci tengono a precisare che il soldato dell’Armata Rossa che mise la bandiera sul Reichstag di Berlino era georgiano…), monaci più presi dal cellulare che da incombenze liturgiche. Rientriamo a Kutaisi dove faremo tappa per la notte, ma gli abitanti della zona dove passa la via coi lavori hanno bloccato il traffico per protesta contro l’invasione dalla polvere (devo dire che hanno assolutamente ragione), così continuiamo a piedi passando per la parte vecchia della città costituita da case dell’800 apparentemente fatiscenti ma dal grandissimo fascino. Il contrasto principale è dato da queste case con intonaco che cade, terrazze sgretolate, inferiate arrugginite e fuori in strada scintillanti SUV o auto più prossime a limousine che utilitarie. Attraversando il quartiere veniamo fermati da un monaco italiano di stanza in una locale missione cattolica (i cattolici sono una piccola minoranza), dopo questa sosta facciamo tappa nella piazza principale David Aghmashenebelis Modeani che esibisce una particolare e modernista fontana a rappresentazione di tutti gli animali della nazione. Il nostro hotel si trova sulla collina a nord-ovest della città, non è ancora terminato e i servizi non sono il massimo, soprattutto cessa la disponibilità dell’acqua corrente dopo poche docce, a poco serve il wi-fi gratuito. Le inservienti sono gentili e ci riforniscono di acqua potabile, nel frattempo ci rechiamo a cena al vicino parco giochi dove gustiamo, a ritmi “sudamericani”, una ricca e abbondante cena in un luogo da ricevimenti con poca gente che arriva fin qui di sera. L’acqua per i servizi igienici ancora latita però, dovremo attendere la mattina dopo colazione. Percorsi 270 km tutti su strade in buono stato.
continua...