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La Cina delle minoranze etniche - VI

Diario di un viaggio nelle provincie del Guangxi e del Guizhou
01 Marzo 2013

 

...segue 

 

15° giorno 

In piedi di buon'ora, frugo nella parte vecchia della cittadina, prima che il grosso della gente che aveva fatto baldoria fino a tardi la notte prima si metta in moto. Dopo colazione prendiamo il bus che ci riporta a Kaili, sul quale salgono gli stessi due ragazzi che avevo notato all'andata, evidentemente venuti alla Festa per conoscere delle ragazze e che ora stanno tornando al loro villaggio. Devono essere stati due giorni fruttuosi: per buona parte del viaggio smanettano sui cellulari per mandare degli sms...

 

Giungiamo a Kaili e troviamo una sistemazione. Benché sia il capoluogo di questa area a forte densità Miao, Kaili è una città prettamente cinese, con i classici edifici in cemento e il traffico asfissiante. Ma i ritmi sono serrati, se si vuole vedere tutto quello che avevo messo nella wishing list. Ripartiamo quindi in direzione di Matang, a circa tre quarti d'ora di bus. Il bus ci scarica sulla strada e da lì, non trovando altri mezzi, raggiungiamo il villaggio a piedi, distante alcuni chilometri. Matang è abitato dai Gejia che il governo cinese considera un sottogruppo dei Miao, cosa che i Gejia contestano apertamente e giustamente, visto che hanno proprio credenze differenti. Il villaggio è di belle case di legno, ai tetti delle quali sono spesso appese delle pannocchie ad essicare: circa un centinaio di abitazione per circa 500 anime. Le donne Gejia sono rinomate per la bravura nell'arte del batik, i cui stilemi sono precedenti alla nascita di Cristo, del ricamo e si distinguono abbastanza facilmente da altri popoli per via di un particolare cappello con una nappa arancione. Anche loro usano ricoprirsi di argento in occasione delle feste, come fa la donna che chiediamo di poter fotografare. Appena terminata la sessione fotografica la donna comincia a mostrarci i prodotti tessili che vorrebbe venderci, così come fanno altre donne apparse dal nulla in un batter d'occhio. Il villaggio è piccolo, la gente mormora...

 

Continuiamo la visita al sonnolento villaggio incontrando bambini scanzonati, cani pigri e vecchietti sorridenti. Per tornare sulla strada da dove riprendere il bus per rientrare a Kaili, invece di tornare indietro, proseguiamo nella direzione opposta rispetto a quella da dove siamo venuti, immaginando che si tratti di una strada ad anello. In effetti è così, vediamo quindi altri bei paesaggi che, in questo tratto, sono punteggiati da una serie di cippi di cemento bianchi che si ripetono ogni 30/40 metri in linea retta, incuranti di dove si trovino, siano essi a fianco della strada o completamente in mezzo ad una risaia. Sono i cippi della Lunga Marcia, che indicano i punti precisi in cui passò, nel 1934, l'esercito comunista di Mao Zedong per sfuggire all'inseguimento delle forze del Kuomintang di Chiang Kai-Shek. Un totale di circa 12.000 chilometri percorsi in 360 giorni fra montagne innevate, altipiani senza strade e fiumi da attraversare, con la complicazione di aprirsi la strada combattendo. Rientro in serata a Kaili, dove ceniamo in un animato mercato notturno brulicante di bancarelle e ristorantini di strada.

 

16° giorno

L'albergo è a posto, peccato solo che sia nel classico palazzone grigio, come grigio è lo spettacolo che si gode dalla finestra. Oggi incontriamo un'amica di Keith, neozelandese, che è impegnata in progetti di solidarietà nella zona e conosce Kaili a menadito. E' lei che ci fa conoscere gli angoli più nascosti della città che, a differenza di quanto credevo, conserva un cuore antico, lontano dai palazzoni del centro. Una "zona vecchia", dove le case sono basse e la gente svolge le proprie attività per lo più in strade abbastanza strette da non far passare le auto: chissà quanto tempo ancora questo quartiere resisterà agli insaziabili appetiti edilizi. Ci sono donnine che ricamano abiti tradizionali e poco più in là grandi macchine cucitrici che producono ricami già pronti da applicare per le più pigre; orafi che lavorano l'argento alla vecchia maniera, rendendolo più morbido a suon di martellate; artigiani che producono qualsiasi cosa partendo da materie prime come il bambù o copertoni usati; studi medici e dentistici dalle spettacolari insegne; biliardi all'aperto, riparati dalla pioggia solo da malfermi teloni. C'è anche un vivace mercato dove incontro la venditrice che, qualche giorno prima, avevo resa ricca: starà spendendo i soldi che mi ha abilmente sottratto...

 

Incontriamo anche, stavolta non per caso, la signora proprietaria della guest house di Shidong, anche lei ormai vive a Kaili. Ci invita a casa sua dove abbiamo modo di ammirare i pezzi pregiati che tiene da parte per i clienti più facoltosi: ricordo in particolare una strepitosa giacca sul cui fondo tinto con l'indaco, dai cangianti riflessi rossastri, sono applicati raffinati e fittissi ricami. Ci dice che glie l'ha consegnata un suo parente dicendo di venderla al più alto prezzo possibile (alcune migliaia di euro è il suo valore) e che, se se lo potesse permettere, la comprerebbe per sé. Visitiamo il vasto e dettagliato Museo di Kaili, dedicato alle minoranze etniche del Guizhou, che raccoglie abiti, gioielli e oggetti tradizionali ma soprattutto fantastiche fotografie, che mi fanno sospirare nel pensare a cosa avrei potuto fotografare se avessi avuto più tempo a disposizione, più fortuna e più bravura. Rientrando verso l'albergo facciamo un giro veloce nel centro e dopo una full immersion nelle fascinose atmosfere dei villaggi delle minoranze etniche, anche se solamente in foto nel museo, il contrasto con la folla iperattiva e chiassosa che riempie i marciapiedi è stridente.

 

Un angolo del quartiere degli hutong di Pechino

Un angolo del quartiere degli hutong di Pechino - Archivio Fotografico Pianeta Gaia

 

Saliamo sul treno che ci porta a Guiyang, capitale della provincia del Guizhou, da dove prenderò il volo per Pechino. Con quasi 4 milioni di abitanti rientra a stento nelle 30 città più popolose del paese e, da quel po' che vedo, pare corrispondere all'idea di sé che la Cina vuole trasmettere: moderna, efficiente, piena di opportunità ma senza tradire il mandato del Presidente Mao. Il fiume Nanming ne attraversa il cuore ed è contornato da uno skyline di moderni grattacieli e palazzi imponenti. Sotto ad uno di questi troneggia una gigantesca statua di Mao Zedong (lo so, qualcuno di voi lo chiama ancora Mao Tse Tung, cosa che dopo il passaggio al sistema di traslitterazione pinyin nel 1958 è sbagliata) che indica davanti a sè la strada verso un futuro radioso. A pochi passi c'è un parco, dove c'è uno spettacolo di strada che attira centinaia di persone e, non molto distante, decine e decine di tavoli dove la gente gioca a scacchi, a carte, a mahjong, quasi sotto al naso del Padre della Nazione. Sull'altro lato della strada ci sono un paio di piramidi di vetro, più piccoli ma similari a quelle davanti al Louvre di Parigi, dalle quali si accede ad un gigantesco ipermercato della catena americana Wal Mart, che pullula di clienti. Al suo interno vedo la prima foto di un personaggio famoso italiano, testimonial di un prodotto tecnologico, peraltro uno dei pochissimi occidentali visto in foto (di norma giocatori di basket): abbastanza insospettabilmente è l'ex-arbitro Pierluigi Collina. Grattacieli, gioco d'azzardo, consumismo sfrenato: non so quanto il Grande Timoniere avrebbe gradito la deriva consumistica che il suo popolo ha intrapreso, peraltro senza il benché minimo pentimento.

 

Aeroporto, un abbraccio a Keith col quale rimarrò in contatto perché voglio avvalermi dei suoi servigi quando deciderò di visitare lo Yunnan, volo interno e atterraggio a Pechino dove, disgraziatamente, quel malfidato del tassista che avevo contattato in anticipo tramite il sito della comunità degli espatriati a Pechino non si presenta proprio. Volevo visitare alcune cose che non avevo avuto il tempo di vedere nelle mie precedenti capatine nella capitale cinese, quali il mercato notturno di Wangfujing e le lanterne accese di notte in Guojie Street, visto che gli edifici dei Giochi Olimpici smettono di illuminarli prima del mio atterraggio. Gli scriverò in seguito una mail chiedendogli perché non ha avvisato che non poteva, mi sarei organizzato diversamente, ma lui, con atteggiamento piuttosto comune tra i cinesi, se ne frega tranquillamente e non risponde. Comunque mi trovo a dover cercare un tassista che capisca l'inglese, operazione al limite delle possibilità umane. Mi reco alla fila dei taxi, il mezzo che mi viene destinato è guidato da una donna. Non potendo parlare in cinese le mostro la prenotazione on-line dell'albergo e le indico il numero del telefono da chiamare, con tanto di gesto della cornetta, per farsi spiegare il nome dell'albergo e dove si trova. Bofonchia qualcosa di incomprensibile, non so se abbia capito o se semplicemente non abbia il cellulare, fatto sta che chiede all'addetto della fila dei taxi di mandarle un altro cliente. Ritorno in fila e ci riprovo col secondo che mi danno: questa volta va meglio, pure lui non comprende la lingua di Albione ma ha sia il cellulare che l'intelligenza di capire di chiamare il numero che gli indico. E' ormai l'una quando giungo al Bamboo Garden Hotel e i propositi combattivi di gironzolare per la capitale di notte devo giocoforza abbandonarli. Non mi rimane che parlare con la receptionist e dirle di spiegare al tassista che le chiedo di prenotarmi per domattina il giro che voglio fare prima di essere portato all'aeroporto.

 

17° giorno

Al Bamboo Garden Hotel ci avevo dormito anche in passato. Il motivo principale per il quale ci torno è che è uno dei pochi vicini al quartiere degli hutong nei pressi della Torre del Tamburo ma ci sono altri aspetti che lo rendono quasi unico. Non è il classico albergo cinese, di norma uno scatolone in cemento, lussuoso ma senza anima. E' stato l'abitazione di un Ministro della Dinastia Ming, con tutte le raffinatezze che ciò comporta: ampia corte privata con ponticello che attraversa un rivolo interno, sentieri zigzaganti che attraversano un boschetto di bambù, portici che corrono lungo l'edificio centrale e spaziosa terrazza, il tutto sviluppato su un piano solo in un vecchio quartiere. La sua fortuna è stata nel fatto che, prima di essere distrutto o frazionato come era la norma durante la buia epoca della Rivoluzione Culturale, venne intercettato da un pezzo grosso della nomenklatura di Mao Zedong (se non ricordo male il capo della polizia segreta) che decise di tenerlo per sè com'era in origine, come apprendo da Tiziano Terzani leggendone La Porta Proibita, di fatto salvandolo dallo scempio. Nel prenotare noto che è stato ristrutturato, anche con discreto gusto, cosa tutt'altro che usuale nelle ristrutturazioni operate dai cinesi: l'arredamento è stato completamente rinnovato e si è, opportunamente, optato per un mobilio in stile classico al posto delle discutibili linee "anni '60" di quelli esistenti in uso durante la mia precedente visita.

 

Come sorge il sole sono in piedi, nella pace del giardino interno di questo silenzioso gioiellino. Poi devo buttarmi svelto, alle 9:00 viene il tassista e alle 11:00 ho il volo di rientro, e mi quindi lesto mi tuffo nel vicino quartiere vecchio. Gli hutong sono i vecchi quartieri, una volta diffusi un po' in tutta la Cina anche se i più famosi sono sempre stati quelli di Pechino, costituiti da vicoli formati da file di siheyuan, le tradizionali abitazioni con cortile interno, alcune delle quali furono ricavate frazionando complessi originariamente unici come quello del mio albergo. Tradizionalmente Pechino è costruita in maniera concentrica con la Città Proibita al centro e i vari ceti sociali che abitavano le altre zone che più si allontanavano da essa e meno erano importanti, logico riflesso del sistema sociale di stampo feudale che la Cina ha avuto fino alla Dinastia Ming (cessata nel 1911). Con la caduta dell'impero mancese venne meno anche la rigida stratificazione sociale e gli hutong, pur aumentando di numero, cominciarono a perdere parte della loro integrità architettonica, causa modifiche e distruzioni effettuate senza criterio in un periodo in cui, per via delle continue guerre e delle frequenti carestie, la gente si arrangiava come poteva. Una delle caratteristiche di questo tipo di quartiere è la presenza di bagni pubblici, individuabili da lontano dall'inconfondibile fetore e dalle lunghe file negli orari più critici: una delle prime cose che le Guardie Rosse facevano, nelle case aristocratiche, era quella di fracassare i servizi igienici, ritenuti un lusso inutile tipico della corrotta casta dei nobili. Ultimamente pare che il governo cinese si sia accorto del potenziale turistico di questi quartieri e che ora consideri alcune zone come aree protette. Di norma i turisti li visitano a bordo di risciò: meno male che è ancora presto e non ne vedo nessuno. Gironzolo fra strettissime stradine, rese ancor meno praticabili da biciclette appoggiate ovunque, e vicoli con curve a 90° gradi dietro alle quali, ogni volta, si presentano angoli diversi.

 

Forme avveniristiche nel quartiere degli edifici delle Olimpiadi

Forme avveniristiche nel quartiere degli edifici delle Olimpiadi - Archivio Fotografico Pianeta Gaia

 

All'orario previsto sono di rientro e c'è il tassista ad attendermi. Monto sù e ci dirigiamo alla zona degli edifici costruiti per i Giochi Olimpici del 2008 che non avevo potuto vedere in precedenza. A quanto pare la receptionist non si deve essere spiegata bene: io voglio vedere al meglio e da vicino gli edifici, non ammirarli solo da finestrino. Faticosamente, a gesti, riesco finalmente a farmici portare sotto, esco e gli faccio capire che sarò di ritorno nel giro di mezz'ora. Maestoso e avveniristico lo Stadio Nazionale di Pechino, soprannominato il Nido d'Uccello, è quello dove si sono tenute le gare di atletica leggera, la disciplina "regina" delle Olimpiadi, nonché le rutilanti cerimonie di apertura e chiusura dei giochi. L'altro imperdibile esempio di architettura moderna è il Centro Acquatico Nazionale di Pechino, detto il Cubo d'Acqua, la cui caratteristica principale è l'essere completamente rivestito dall'EFTE, una sostanza plastica trasparente e più resistente del vetro che ha consetito quelle forme e quei colori che fanno sembrare le pareti come coperte da gigantesche bolle di sapone.

 

Tutta la zona è nuova e si vede che la Cina ha voluto esibire la sua potenza e ricchezza: grattacieli dalle forme insolite, larghissime strade pedonali con lampioni futuristici, abbondante ricorso alle più moderne tecnologie senza dimenticare attenzione agli aspetti ambientali. Sarà questa la strada che percorrerà quello che una volta era definito l'Impero Celeste? Corro all'aeroporto e, con ancora negli occhi le immagini di tutto il viaggio che mi hanno mostrato una Cina quasi medievale e ancora profondamente ancorata ad uno stile di vita ancestrale al fianco di una Cina iperattiva e già proiettata oltre il 2000, non riesco a darmi una risposta.

 

La Cina delle minoranze etniche - I

La Cina delle minoranze etniche - II

La Cina delle minoranze etniche - III

La Cina delle minoranze etniche - IV

La Cina delle minoranze etniche - V

 

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